Dormiva sempre, come un cretino. Dormiva, quando fece la sua comparsa. Per la prima volta: – Queste salsicce mi fanno stare male ogni volta – disse, dal profondo: – Il macellaio è pure bravo, ma le porzioni vanno dosate! –, il cielo plumbeo lanciava stracci di brina dalle tinte blu e grigie, sembrava profilarsi distante, lungo l’orizzonte degli eventi, un nubifragio di portata biblica: – Le salsiccee! – continuava a dire, tra sé, nel sonno abissale. Intanto la notte, come un messaggero dal deserto, portava le sue condoglianze al giorno, la luce della sagoma estesa lungo le mattonelle plastificate della stanza, si prendeva lo spazio che rimaneva lungo i bordi della carcassa di quell’entità, ormai dimenticata da tutti.
– Eppure, mi ricordo, c’è stata una volta in cui mi sono sentito vivo per davvero. Eravamo al mare, ricordo i riflessi sull’acqua del cielo azzurro, mi tuffai alla ricerca degli occhiali che avevo lanciato dal bagnasciuga. In un attimo davanti vidi uno scrigno, come sigillato dall’interno. Ci saranno state, sicuro!, tutte le cose più desiderabili da una persona sulla terra – se avessi avuto la destrezza di aprirlo – ancora mi chiedo cosa fosse. La certezza, quando sono risalito dal fondo, era che non mi trovavo più dove credevo che fossi, mi sentivo come stato trasportato in un mondo parallelo, ma più vero. Mia madre me lo diceva sempre, non devi mangiare troppo, quelle salsicce con i friarielli, sono pesantissime da digerire. Al mare poi! Mia madre, dai capelli rossi scintillanti, aveva un suo portamento da vera dama, una signora di corte. Me la vedo circondata da artisti, come piaceva a lei! Musicisti, trombettisti, attori e comparse, pittori di quadri astratti dalle tele squarciate, che roba!, eppure, nel suo sguardo, quando mi parlava gli ultimi anni, vedevo una tristezza nuova, la tristezza della stanchezza. Quando sei giù tiri fuori il peggio di te. Sì, perché se stai bene non hai manco il tempo di pensarci. Chissà perché prestiamo sempre più attenzione ai momenti in cui siamo col morale a pezzi più di quando siamo contenti, a me succede sempre così. Ci sono delle giornate in cui prenderei a morsi il muro dalla rabbia, dall’odio che mi sale quando penso che non le hanno fatto fare il lavoro che desiderava, a mia madre, mentre mio padre si è rotto la schiena tutta la vita per pagarmi le salsicce, le stesse che mi stanno facendo venire una congestione, dio santo. Cosa dovevo fare?, ultimamente era sempre più assente, le parlavo e mi rispondeva tutt’altro, non centrava il discorso manco per sbaglio, come se fosse sempre con la testa verso chissà quali sponde… A mamma, te son piaciuti gli spiedini? E i carciofi freschi? Aaah, così ti voglio sentire!, con tutta la gioia che ti sgorga dentro, come un fiume! Andavo sempre a dare il pane ai piccioni del parco di fronte a casa, mi piaceva sentirmi circondato da qualcuno, anche se poi me ne tornavo a casa e mi masturbavo come un folle più di prima, sempre peggio, al costo di starmene sveglio tutta la notte per trovare l’ispirazione. La scena perfetta, la sequenza del botto, quella che ti fa scattare il tappo, che non c’hai manco il tempo di capire che sta succedendo che già stai su un altro mondo, e vedi tutto di colori strani, sovrapposti, come un diorama con gli animali dentro. Madonna, che godimento, che gioia di vivere. Questa è vita! D’altronde, a me, le donne non hanno mai capito. Non le piaccio proprio, forse. Ogni volta che mi avvicinavo per provare, timidamente, a costruire un approccio mi schivavano proprio, come fossi un matto. Ma che vi ho fatto? Non capisco, guarda mi ricordo di quella volta di quando avevo messo gli occhi fissi su una che mi passava davanti al parco, eppure non credevo fosse così sofisticata, così piena di boria da farmi schifo!, sì perché a me mi fanno schifo le persone piene, così piene di sé da mostrarsi sempre i primi di qualcosa, i primi di sto’ cazzo, ma guarda che il giorno che mi prende e faccio una pazzia, altro che violenza domestica, me sentono i tiggì… Eppure, Sara, mi sembrava di un altro mondo, un portamento da vera signora, io davo da mangiare ai piccioni e lei si voltava per sorridermi, sì ne ero sicuro, mi sorrideva proprio. Secondo me ci stava, sì. Poi, vabbe’ non ci stava mai nessuna. Ricordo di quel giorno in cui mi sono avvicinato, preso dall’euforia della giornata, e baam!, un bello schiaffo sul culo! Sì, perché è così che si deve fare con le donne, trattarle male, farle soffrire. Vedrai come ti tornano dietro. Ricordo benissimo a scuola mia quello che facevano i miei compagni alle mie compagne, si appostavano lungo gli angoli della classe, all’ora di ricreazione, e le saltavano addosso, come dei matti! Stavo sempre a guardarli, poi tornavo a casa, e mi prendevo il cazzo, tra le mani, lo scrollavo con maestria, con fare da scienziato, e rimettevo in ordine tutte le immagini che avevo trattenuto dalla mattina, sai che roba, una peggio dell’altra. Sì!, perché a loro le piaceva farsi fare le cose, farsi mettere le mani addosso, ne sono certo. Altrimenti perché non si sono mai rivolte ai professori, ah già perché quelli erano peggio dei compagni, sempre pronti a insidiare i corpi delle compagne… Bastardi! E a me? Mai niente, ma dico almeno una cosuccia falla fare anche a me no?, solo perché venivo vestito come sembrava mi fossi appena alzato dal letto? Non tutti nascono con i padri ricchi, con le madri ereditiere. Ero un poraccio, io! I miei abiti erano il mio riflesso, quello che sono per davvero, coi jeans tutti strappati, le scarpe sformate che parevano due salsicce (e ridaje!), le magliette con disegnato sopra dei cani che ringhiavano su sfondo giallo, le camicie sopra prese da qualche Upim, o forse era la Standa di Berlusconi?, il cappelletto con il logo dogo, come il gruppo, ma questo era solo il cane… mi piaceva un sacco il rap, la musica, mamma mia che delizia Eminem. Quello era uno che ci sapeva fare con le donne, lo racconta bene nel disco suo, quello Marshall Matthers, dove dentro racconta pure la storia del suo fan che voleva essere come lui, e si tingeva i capelli e faceva tutte le cose come il suo mito… anche io avrei voluto diventare un cantante, qualcuno di importante, di quelli che quando arrivi in un posto tutti stanno già a guardarti, a fare i commenti, a invidiarti. C’era questo Filippo in classe mia, me lo ricordo come era venerato da tutte, ma pure i ragazzi lo accerchiavano, perché stare con lui significava che ti venivano dietro le ragazze. Aveva le scarpe all’ultima moda, quei stivaletti Adidas, roba figa, mica come i miei panini, che mi facevano goffo, ancora più goffo di come non fossi così normalmente. Ah Pippo!, me fai una sega! Gli avevo detto, con fare da sfida, si era avvicinato, me lo ricordo benissimo, e mi aveva detto ‘Ripetilo, se hai coraggio’, me fai na’ sega!!, e sbabam sbaaam!!, uno sganassone che non mi sono più dimenticato per tutta la vita. Mi volevo sfogare, contro di lui, perché non era poi così intelligente, si credeva intelligente, ma l’unico motivo per cui gli stavano tutti addosso era perché i genitori gli compravano i vestiti fighi, capito? Chissà dove li trovassero i soldi. Ricordo che per comprarmi Crash Bandicoot 3 dovetti rubare i soldi dal borsellino di mia madre, mi ero inventato pure la scena… lei, mentre scendeva le scale del nostro condominio sarebbe rimasta più indietro di me, così da avere tutto il tempo per scivolare e mettere i soldi sotto il portone del palazzo, poco prima che arrivasse, già gridavo di gioia per il tesoro trovato, come al mare, quando avevo visto il tesoro: ‘Mamma, mamma!, guarda che cosa ho trovato?!, con questi mi compro subito il videogioco che volevo… non potrai impedirmelo’, e lei presa dallo stupore, non sapeva cosa rispondermi, al punto che per farmi contento mi accompagnava al negozio, un negozio che ovviamente non esiste più, perché qua, dove vivo io, tutto ciò che può fare evadere, allargare i confini della mente, non deve esistere, ma mi chiedo io, possibile che tutti pensino solo a mangiare? Capisco, è bello mangiare, anche a me piace magna’, ma non posso pensare di vivere solo per quello, tutti questi sushi, ma davvero ne abbiamo così bisogno? Mi spiegassero quali sono le differenze tra un locale e l’altro… ormai è pieno in città, ad ogni angolo ti giri e vedi solo sushi, ristoranti dove i piatti non hanno manco più bisogno di essere chiamati coi nomi, basta il numeretto, ti prepari la lista con tutti i numeretti e poi, come un elenco del telefono, gli reciti al cameriere, ma che roba è? Dico, da qualche parte ho visto pure il robot che ti porta le cose, come al supermarket, dove mo’ tolgono pure le cassiere per metterci le casse automatiche, come una catena di montaggio, senza più essere umani, solo automi… avevo visto anche un film che ne parlava di questa cosa. Il film riguardava qualcosa col paradiso, la classe operaia, e lui era lì che faceva il suo lavoro con una velocità tale che nessuno poteva stargli dietro, era il più bravo, come Stakhanov, fino a quando per recuperare un pezzo che gli rimaneva incastrato nel macchinario, non ha provato a recuperarlo infilandoci la mano dentro, e ci perde un dito!, cazzo, che dolore… poi prende coscienza di sé, dice basta con questa alienazione! Me lo diceva sempre anche il mio professore di liceo, di filosofia, che eravamo tutti avvolti da una specie di nebbia, distaccati dal resto, dal nostro oggetto di lavoro, dagli altri e da noi stessi, e che Dio pure era morto… Questo non doveva dirlo però, gli è costato il posto fare quella affermazione lì, ben gli sta!, certe cose non si devono manco pensare… mi ricordo ancora la lettera che circolava tra i compagni, tutti avremo dovuto firmarla, perché altrimenti ci bocciavano, così diceva la mia compagna che aveva portato la lettera firmata dalla madre, che poi questa faceva parte dell’Opus dei, qualche setta cattolica, roba strana, comunque, avevo firmato, e il mio professore lo avevano trasferito, chissà dove. Erano pure fighe le compagne, certe non le ho più riviste, quando è finita la scuola sembrava che tutti avessero cambiato paese… se incontravo qualcuno e lo riconoscevo facevano finta di non vedermi, a volte provavo anche a salutarli ma niente, con nessuno ho mantenuto i rapporto, nessuno!, manco col mio amico di banco, Giovanni, esperto di arti marziali, certi balzi… ricordo ancora quando venne circondato dai fasci sotto casa, ero davanti a lui, li aveva evitati tutti, saltava come un ninja, certi colpi che sembrava avesse passato cento anni in una foresta giapponese a prepararsi. Schivava i colpi come un maestro, rifilava calci e pugni con destrezza: Bruce Lee sembrava, con il nunchaku! A me piaceva L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, lo scontro contro Chuck Norris al Colosseo sembrava lo scontro tra due civiltà alla resa dei conti, col gatto che usciva fuori e pareva l’arbitro, che spettacolo!, ovviamente vinceva Chen, ma anche Chuck era forte, lui era campione internazionale di karate, mentre Chen di kung fu, due visioni opposte, bene, e così che vedevo me quando sognavo di essere un’altra persona da questa, dal Mario che sono, abbandonato e solo, o quasi… mi hanno lasciato un gatto i miei genitori, che loro non ci stanno più, sono passati a miglior vita prima di me, ereditare questa casa non mi ha fatto bene, con i loro soldi, ho ancora qualcosa, ma chissà per quanto.
Spendo con troppa facilità, se mi viene da comprarmi un disco me lo compro, l’ultimo mi sa che è quello di Guccini, Radici, che avevo un amico quando ero più piccolo che il padre metteva sempre in macchina mentre si andava al mare, e mi è rimasto questo legame con quel ricordo lì, e niente poi mi sono preso dei dvd, roba di Russ Meyer perché mi piacciono le sue attrici maggiorate, tutte con questo seno abnorme, esorbitante, che sembrano che stiano per esplodere, mi fanno impazzì, non mi frega più manco della trama, che manco ci bado, e mi concentro solo sulle tette… e poi cosa ho preso, ah sì, qualcosa di Oshima, giusto per riequilibrare un po’, ma mi aspettavo di più dall’Impero dei sensi: quell’uovo che mette il tipo dentro la vagina della tipa, che roba, anche a me piacerebbe farle ste’ cose, e invece mai nessuna, e poi ditemi voi se non mi devo scolare ste’ cazzo di bottiglie di birra l’una dopo l’altra, proprio mentre guardavo Oshima, ma mi sa che questa volta ho esagerato… per davvero, perché dopo ho aperto anche una bottiglia di vino, quello buono, Carignano, rosso come la morte, sì perché è di quel colore che mi immagino la morte, quando busserà, quando verrà a prendermi mi troverà così, ubriaco fradicio, disteso lungo il letto, con la televisione accesa mentre il tipo ficca dentro la figa della tipa l’uovo, l’uovo sodo come quello che fa la gallina nell’altro film di quel regista che si è visto prima di morire il cantante, quello osannato dai musicisti alternativi, insomma Curtis qualcosa… La ballata di Stroszek. Comunque, dicevo che ho proprio esagerato questa volta, mi sono mangiato le patatine fritte, una porzione gigante, poi mi sono mangiato le salsicce con i friarielli, mi sono bevuto otto birre grandi, mi sono aperto pure il vino e adesso che ho bevuto pure questo, che cazzo faccio?, non ci sto più con la testa… ho pulsioni strane, incontrollabili, come quando ho dato quella pacca sul culo al parco a Sara che mi guardava, ma che ne sapevo io di come si fa con le donne?, per quanto ne so io così facevano tutti i ragazzi in classe mia, in discoteca, dove sono andato giusto una volta per sbaglio, così perché era il compleanno di quel mio amico, l’unico mi sa, oltre a Giovanni anche se non ci si frequentava, che ascoltava Guccini con il padre, e avevo visto tutti che facevano così… si divertivano proprio a mettere le mani sotto il vestito delle ragazze, e infierivano morbosamente, al punto che anche io, avevo bevuto una tequila, la mia iniziazione all’alcool, avevo preso a infilarci dentro la mano e a strusciare fino ad ascoltare il nylon dei collant delle tipe sui miei polpastrelli mentre si accanivano su di lei… e invece tutto questo non mi ha portato a nulla, sono solo al punto da non riuscire manco più a guardarmi allo specchio, che da quando sono morti i miei genitori mi viene da tralasciare tutto quello di importante che c’è da fare, tipo stirare, lavare i pavimenti, dare da mangiare al gatto, giusto qualche volta gli mollo qualche resto dal pollo dell’indiano che ordino che non c’ho manco voglia di cucinare, figuriamoci. Come quando si andava nel dopo scuola a mangiare fuori, da Burger King, e mi ordinavo il panino con la cotoletta e le patatine, e la maionese, e la salsa barbecue, e le crocchette di pollo, le pepite. Mi ricordo di un compagno che se l’era presa a morte perché qualcuno di noi aveva provato a sgraffignargliene qualcuna, aveva preso la sedia e si era spostato in un altro bancone separato, non parlava più con nessuno e dava le spalle a tutti, poveretto… me lo ricordo bene quello lì, un complessato, come me eh, per carità, ma di più cristo!, sempre a fare storie su tutto, e questo gioco non gli andava perché non vinceva lui, e quel posto non va bene perché non gli piaceva, doveva avere sempre l’ultima parola su tutto, sino al giorno in cui non si è preso due schiaffoni in faccia da uno più cattivo, uno che stava in periferia, che vendeva la droga. Sì, la droga, tutta!, che mica c’è tanto poi differenza, me lo diceva sempre mia madre che la droga fa male, e lui invece sempre a fumarsi i cannoni, di fumo e poi di erba, e poi mi sa che c’avevano messo pure la coca, e quando l’aveva scoperto era andato tutto in paranoia perché aveva sentito che crea dipendenza dal primo tiro e una volta fumata era fatta, secondo lui, poi non so che fine abbia fatto, non c’è manco su Facebook. Che poi me lo sono fatto pure io il profilo e ho messo il gatto e qualche ‘mi piace’ sono riuscito ad averlo, che gioia… da qualche tipa, anche figa, ma poi le scrivi e non ti rispondono, ma dico che problemi hanno? Manco ti ho cercata io dal principio, hai interagito prima tu di me, no?!, e allora perché se poi sto’ a provare un approccio più diretto te tiri indietro, sul più bello? Secondo me è tutto sbagliato qua dove vivo, la gente vive come immobile, sembrano tutti dentro a delle caste, roba che se non entri a farne parte non puoi andare da nessuna parte… e allora cosa dovevo fare io? Non ho manco finito l’università, c’ho pure provato, così forse per darmi un tono, mi ero iscritto in lettere, capirai… perché mi ero letto Io, robot mi credevo bravo, mi credevo uno profondo che ama leggere, ma mi erano bastati i primi due corsi per sboccare, con tutte quelle date, mi sa che era storia romana, e poi le robe di fonetica, Glottologia de mmerda!, ma perché cazzo le fanno studiare ste’ cose, ma dico io fammi leggere Isaac Asimov, magari mi innamoro pure dello studio e mi viene voglia di continuare invece che agonizzare come un vitello sgozzato in un allevamento intensivo. La trascrizione dei fonemi, e l’accento, e la metrica, e la storia delle parole, e poi ci mancavano pure i romani, con tutti gli imperatori, le dinastie, le guerre, i confini, le lotte fratricide, e gli incesti, e gli abusi, ma dico io, e le lettere? Dove stanno? Si studia tutto tranne che la letteratura, ma chi li pensa sti’ corsi, e poi si stupiscono, quando leggo i giornali, che la gente si disperde, non finisce la scuola, non si laureano, e certo, dico io, ma come si fa a pensare ancora con la stessa mentalità di sessant’anni fa, che si credono ancora al tempo della peste di Milano del Manzoni… oh dio, cosa mi sono ricordato, I promessi sposi, no!, quello era veramente troppo, Asimov invece era bello, mica come Manzoni. Secondo me è tutta questa roba che mi ha rovinato, se avessi scelto da subito cosa studiare, cosa leggere, chi frequentare, se mi avessero lasciato libero da bambino, la società dico, mica solo la famiglia, che poi non è che ci sia poi così tanto differenza… ora non sarei qui, disteso sul pavimento, in coma etilico, o quasi, sulla linea sottile che separa la vita dalla morte, a farmi tutto questo film della mia vita, a piangermi addosso, a ricordarmi quello che ho fatto e non ho fatto, prima bisogna capire le cose, non dopo, quando sono già passate e non ritornano più perché ormai si è fatto tardi, maledetti. Scuola, stato, famiglia, chiesa: tutti siete complici, se ora sono così è per colpa vostra. La religione poi, dove la mettiamo? Che manco facevo l’ora di religione, perché i miei si pensavano di sinistra, progressisti, come si dice, emancipati. Bisogna assecondare il gruppo, per poter entrare a farci parte, ma questo l’ho capito solo ora. Mantenerlo coeso, soffrire insieme per poi poterci ridere sopra, e invece io facevo quello che volevo già da piccolo, e questo mi ha portato subito a farmi una idea mia sulle cose, di quelle per cui sembri davvero come Manzoni agli occhi degli altri, uno che la sa più lunga e per questo ha diritto di saperne di più, ma non è così. Basta, sto male!, mi sento la pancia scoppiare, il fegato spappolato, non riesco manco a voltarmi sull’altro fianco che mi sento il corpo pesante come una barca investita dall’acqua di una onda gigantesca, e a ogni movimento trascina con sé tutto quello che ha accumulato a bordo, poi le tempie mi stanno pulsando come se mi stessero infilzando una spada a intermittenza, il cuore sobbalza a scatti, grosso più del normale, si sarà ingrossato a furia di bere, cosa mi succede? Secondo me è la volta buona che schiatto, manco c’ho avuto il tempo di scrivere una lettera, una augurio, a chi non lo so, ma di solito non si fa così? Anche Tenco non aveva lasciato un bigliettino prima di suicidarsi? Che il suo era stato un atto di rivolta contro il pubblico, lo stesso che aveva provato a far innamorare con le sue canzoni e mandava in finale Orietta Berti… che poi, non ci credo mica tanto al suicidio, io, secondo me lo hanno fatto fuori, c’entrava il clan dei marsigliesi, droga, conti in sospeso da saldare… qualcuno sapeva che si era comprato pure una pistola, la stessa che poi ha usato per spararsi, ma dalle confidenze emerse dopo sembrava che se la fosse comprata perché si sentiva minacciato, sicuramente sono stati i marsigliesi… non mi voglio paragonare a Luigi Tenco, però anche io mi sento un po’ come lui, una specie di artista incompreso, qualcuno che ha sbagliato tutto nella vita, non è mai stato sintonia con le regole, con quelli che erano i gusti, le pose giuste ecc., io volevo fare come mi pareva a me, certo con Sara avrei potuto evitare quel gesto, ma ormai ci si vedeva spesso al parco, con i piccioni, e pensavo che in fondo era uno scherzo, un gesto simpatico che non avrebbe fatto male a nessuno, ancora non c’era il femminismo, o meglio, magari c’era pure, io non lo so con certezza, ma comunque non se ne parlava al tiggì, c’erano pure le veline, le letterine, le ballerine di Sarabanda, il Drive In, Colpo grosso, c’era tutto quel mondo plasmato dalla tivvù che poi mica riuscivo a distinguerlo tanto dalla vita vera… oddio, sto proprio male adesso, basta mo’ è davvero finita, mi sento straripare, come il Vesuvio in eruzione quando aveva distrutto Pompei. Spinge, spinge, spinge forte, che mi sento che sto’ per esplodere, dio mio, aiutami tu, come la Ingrid Bergman, nel film del marito, Rossellini, quando si trova a Stromboli, uguale, sono esattamente come lei, ora sono prostrato al suolo e come un disperato, prego e chiedo la tua venuta Dio, per me sappi che non sei mai morto, al contrario del mio professore di liceo, per me sei vivo e vegeto… aiutami, DIOOOOOOO!!
La sagoma si estese lungo gli stucchi della parete del suo corridoio. La prospettiva, apriva una finestra sulla realtà, come un dipinto. La cornice intorno al punto focale: era disteso di traverso, in prossimità dei bordi del letto, la porta della sua stanza spalancata: rappresentava l’essenza della scena, come in Shining. L’inquadratura appariva centrale, si soffermava e lo seguiva, come il piccolo Danny sul triciclo nell’Overlook hotel. Il flusso ottico, mosso dalla sagoma spettrale, caricava la sequenza di una particolare densità espressiva, fulminante (Bonjour Tristesse!), trasformandolo in un feticcio, come Andy Warhol con le Campbell’s Soup, e le linee di fuga, marcate dalle mattonelle a scacchiera del pavimento, coincidevano con gli estremi opposti del letto. Una strana energia, come una vibrazione generata dalle linee della corrente elettrica, veniva sprigionata dalla stanza.
– No Morte, non prendermi ora, non portarmi via ancora – ripeteva in un loop narcotico, mentre il suo stomaco, preso nella tempesta in subbuglio come un centrifugato, plasmato dalla sua condizione imprimeva uno sforzo sovraumano per smaltire tutto lo schifo della notte.
– Non ho ancora finito ancora di dare il peggio di me… tutti dobbiamo lasciare un segno, quando nasciamo… permettimi di fare di me qualcosa di più di quello che ho fatto, non è detto che poi non possa pure migliorare… – disse, e come la notte, quando scompare ogni traccia di figurazione, e gli oggetti riflettono le loro ombre sulle pareti della camera da letto e della mente, o come contorni che si mescolano sullo sfondo della realtà, mentre le particelle elementari si uniscono in fitte reti, smaterializzando i corpi e lasciando le anime vagare nel quadro delle percezioni sovrapposte, come chiazze di colore impressioniste, scabre, lasciate a margine, lungo i confini della realtà, la sagoma scomparve e, il sole, a dispetto di qualsiasi previsione, si manifestò.
Omar Suboh, è laureato in Filosofia sui temi della Storia delle Idee e della Cultura nell’ambito della Filosofia moderna. Collaboratore con la cattedra di Storia della Filosofia moderna all’Università degli Studi di Cagliari, ha inoltre scritto per «il manifesto» e per il periodico di cinema «Diari di cineclub». Scrive per «il manifesto sardo» sui temi della politica estera con particolare riguardo alla questione palestinese. Membro attivo e organizzatore di eventi per la diffusione della cultura araba e palestinese con la comunità palestinese in Sardegna. Ha pubblicato due mixtape, Aporia ed Apolide, autoprodotti nell’ambito del genere rap col nome diem.dedalus.