CAPITOLO VII
Rapporto n° 392
Roma 26/12/2013
Operatore Epicuro Tre
Orario operativo: dalle 18.05 alle 19.17
Software utilizzati: Wavetranslator 2.0
Laura è già un rimpianto sbiadito. Le troppe emozioni l’hanno grattata via piano piano trasformandola in una piccolissima ulcera aspra nel fondo della memoria. Chissà se la rievocherai qualche volta, magari a primavera, quando gli odori riportano a galla, senza alcun richiamo cosciente, persone e fatti del passato. Ora c’è quella donna, la donna che sogni, quella che riunisce in sé tutto ciò che nelle altre era frammentato, o mancante. Se una aveva qualcosa che ti faceva perdere la testa, sicuramente difettava in qualcos’altro. Per tutte è stato così. Claudia è la summa di ogni cosa che c’è di desiderabile nella persona che vorresti accanto. Ma ne sei proprio sicuro? La conosci a malapena. Sí, ma per lei senti quello che non hai mai sentito prima. Un richiamo antico, come se fosse la natura stessa a volerti legato a quella donna. Poi ti viene in mente Francesco. Hai parlato per un po’ con lui. Ti sentiresti proprio una merda ad intrometterti tra di loro. Non è il genere di persona che ti piace, ma è genuino. Crede davvero in quello che fa, sembra avere davvero una missione.
La guardi per un attimo in volto, lei ti sorride brevemente e si rifugia in una serie di gesti che sembrano scaramantici. Reclina il capo da un lato; si lega i capelli mostrando le ascelle; si sporge col petto. Sotto il tavolo noti un altro tic: si infila e sfila la scarpa.
Tu sai cosa significhino quei movimenti involontari, ma non fai nulla.
Ti limiti ad osservare quella donna attraente, grazie alla sua buona dose di cultura e di buongusto nel vestire, dimenarsi e divenire sempre più scomposta nell’argomentare, preda di una strana febbre che la fa parlare velocissima. Con le mani frulla l’aria davanti a sé come a scacciare mosche inesistenti; abbozza un tema, ma dette quattro o cinque parole vi apre una parentesi dopo l’altra e via via, a forza di subordinate, il soggetto diventa sempre più gassoso, per poi sfumare nel calore della sala.
Ti ha mandato un sms, appena mezz’ora dopo averti chiesto il tuo numero di cellulare, e siete già, dopo qualche giorno di messaggini, al primo appuntamento. La malafede te lo fa pensare un incontro artistico. Ti suona strano, però, che non ci sia il suo maritone con la faccia buona. Piomberà qui, come l’altra volta, nel bel mezzo della discussione, a fare scena muta, come un bambino che non si intromette in discorsi tra adulti?
Sei incollato al candore dei suoi denti. Lucidi, perfetti nel disegno e nella struttura. Le labbra non sono altrettanto accattivanti, un po’ troppo sottili, forse, e all’ angolo c’è uno sfogo di febbre, ma Claudia ha belli gli occhi: celesti e grandi, dotati di uno sguardo sincero, gravidi di sfacciata innocenza. Inoltre, giù in fondo, dove soltanto alcuni possono vedere, un avvilimento senza quiete.
Al Pigneto, durante le feste natalizie, o da Luglio a Settembre, le case emanano una tristezza simile a quella dei luoghi di mare quando è inverno, delle case nel nulla di Second Life, dei colombari di Prima Porta. Vita e movimento sono talmente assenti che uno del centro o dei quartieri alti le penserebbe disabitate, se non fosse per lo sguardo smorto e vuoto di un vecchio, con le cannule al naso, che si affaccia dal balconcino pieno di vasi vuoti, al rumore di un passo sconosciuto.
La stessa tristezza è anche al Forte Fanfulla, quasi alla fine di una vietta squallida, arata tra due file di casupole condonate.
Questa è una sera come tante, sono più o meno le sei e mezzo di pomeriggio del giorno di Santo Stefano. Xavier è al tavolo di fondo con le cuffie sulla sua parrucca di riccioli sudamericani, raccolti in una coda voluminosa da fricchettone. Il suo nasetto messicano si arriccia e ride a voce alta, illuminato dalla luce biancastra del portatile, che lo fa apparire tale e quale a un qualche bassorilievo di Teotihuacan. Starà parlando con quel ritmo da Speedy Gonzales, via skype, con qualche suo connazionale.
Lei intanto sermoneggia, con la voce leggermente roca, blatera di diritti. Non la segui, non su quel piano, come non ascolti più quelle cazzate che circolano nei vostri ambienti da sempre: il diritto alla cultura, la cittadinanza attiva, il bene comune, operare sul territorio… Parole d’ordine del secolo scorso, quando gli scrocconi pensavano si potesse vivere gratis, girandosi dall’altra parte o facendo orecchie da mercante ad ogni voce che si levasse a far notare che il gratuito era in realtà pagato da qualcun altro, e sicuramente non da qualcuno ricco.
Il tizio che gestisce il negozio di stracci sul soppalco sta sentendo l’Adagetto dalla Quinta di Mahler e tu non ascolti le parole di lei, ma solo questo tappeto di archi che te la fa apparire eterea e inafferrabile. Vorresti che le sue parole si trasformassero in questi accordi e la sua voce si facesse violini: maledici la natura che non sia così.
Delio, il barman, fissa davanti a sé il silenzio. Lo sguardo incallito verso la parete bianca, assorto nei cazzi suoi, sembra una statua di cera. È calabrese, simpatico, con una bella risata sonora, barba nera e, nonostante la precoce calvizie, somiglia ad uno dei bronzi di Riace. Stasera anche lui è triste. Fuori non piove, ma tutto è freddo e desolato.
Ti riattivi mentre Claudia ti sbircia, aspettando da te una risposta ad una sua qualche domanda di cui hai indovinato soltanto il suono del punto interrogativo. Alzi lo sguardo su di lei, al quale replica immediatamente lisciandosi il collo. Rispondi:
«Non lo so…»
Lei ti guarda nuovamente, forse con ammirazione, o qualcosa del genere, e increspa
le labbra in una smorfia di approvazione. L’ Adagetto ora è finito. Si spande
un silenzio d’ascensore.
Di solito sei in grado di gestire i silenzi. A volte li riempi, a volte volutamente li lasci vuoti. In ogni caso non ti spaventano. Dopo anni passati ad interrogarti, ad immergerti continuamente dentro di te, sei riuscito a trovare un modo per non farti sopraffare dall’imbarazzo del momento. Il più delle volte ti senti centrato, stabile nella tua ottusa compatezza da minerale. Magari è soltanto l’avanzare degli anni che ti da questa calma da defunto. Ecco sì, la calma di chi ha la certezza di non morire poiché è già morto.
Ma oggi pomeriggio, qui al Forte Fanfulla, quella calma si è andata a far fottere e questo lago piatto che le mostri è soltanto recitazione.
Ti è arrivato quel suo messaggino due ore fa: VADO A BERE UN BICCHIERE AL FORTE. VIENI?
L’invito insolito di questa bella figa, ti scombussola. Finora non è mai stata così calorosa, anzi, sembrava addirittura ostile nei tuoi confronti. Eppure nei gesti e nelle parole in quest’ultimo periodo ti è sembrato di notare una sensuale cordialità nella sua condotta, qualcosa che ti fa credere che se lei fosse momentaneamente confusa potrebbe diventare la tua amante e questa cosa ti eccita come un deficiente.
Però, il suo maritone gentile ti è simpatico e non vorresti essere l’artefice della sua infelicità futura, soprattutto perché non ti piacciono i tradimenti e ti ripugna anche solo l’idea di provare turbamento a questa idea fangosa.
Non dovresti essere qui, ti ripeti. Non saresti dovuto venire.
E cerchi di far tacere quel turbamento che ti provoca proprio lo stare lì, l’ essere presente e puntuale all’appuntamento, cercando di sostituirlo con una quiete da innocenti, come se ti ci trovassi per una questione di cortesia. Per un attimo sembra quasi funzionare e ti senti rilassato, ma basta buttare un’ occhio a quel salone, che è la sala incontri del Forte Fanfulla, per ritrovarti subito nella stessa condizione di prima, se non addirittura più turbato.
Una sala rettangolare con il pavimento verniciato di rosso bordeaux, così come lo zoccolo alto che si staglia per oltre un metro sulle pareti bianche; bordeaux sono anche le poltroncine, che sottostanno al soppalco dove vendono abiti usati, e sembrano suggerire un salottino tetro e un po’ equivoco. Sembra il set cinematografico di un film porno, anche se, nelle intenzioni di chi l’ha progettato sembra esserci la volontà di creare un posticino per coppiette, tutto baci e carezze comode e morbide, mentre appare, in realtà, un posto appartato per cocainomani da bettola, con quel tavolo da tè dell’ Ikea buttato lì nel mezzo, nero, ideale per acchittare le strisce di bianca. La parete alle spalle di lei, invece, è occupata da un’enorme libreria bianca, stile sezione del PCI, con una sfilza di libri di case editrici minori e autori sconosciuti. Questo stanzone, proprio per le sue fattezze, sembra suggerire l’idea che Claudia si potrebbe far corteggiare da te, e che proprio lì, magari sulle poltroncine, si potrebbe abbandonare al tuo primo bacio. Sono già tre giorni che hai cominciato a fare ginnastica e a mangiare minestroni. Il pane lo hai eliminato, i latticini pure. Ti senti in forma, anche se, nudo allo specchio, ti fai ancora schifo. Ma cominci a riacquistare una certa sicurezza. Insomma, tutto qui dentro sembra riportarti alla mente, in modo martellante, quel maledetto messaggino.
Poco fa mentre l’aspettavi, avevi già pensato tutto questo, ma ti sembravano fantasticherie sceme. L’invito è soltanto per far quattro chiacchiere tra una regista e un musicista, ti sei detto. Per scambiarsi idee, o forse perché, vorrebbe affidarti le musiche del documentario che sta girando, ma poi senti aprire la porta metallica nell’altra sala dove c’è il bancone del bar e dopo tre secondi appare lei. La malafede.
Ha un montgomery blu, i capelli leggermente raccolti in una coda di cavallo, lo sguardo basso e un’andatura che non sai decifrare. Ti saluta a malapena, sembra quasi che le dispiaccia di trovarti lì. Rimani seduto e la saluti, con un sorriso storto.
«Che hai fatto? Sei giù?»
Lei sorride, come a dire che non ce l’ha con te.
«Sì… il lavoro. Due palle. Questi stronzi della troupe pensano di comandare chiunque…»
Si siede. La ammiri e lei ti fissa, poi le parte il tic della scarpa. Lo sguardo sembra essere da qualche altra parte, anche se è bloccato su di te, e quella sua alterigia ti rispedisce ai vostri primi incontri, all’ inizio di questo vostro matrimonio oculare, quando ti sentivi in soggezione. Ora di nuovo quel guardare assente, da depressa, ti fa venire voglia di dissolverti per ritrovarti in un qualche pratone della Val D’ Aosta a respirare aria pura.
«Ma non parliamo di lavoro» ti dice, mentre inizia a rollarsi una sigaretta.
Tu resti muto. Non hai nulla da dire e ti senti goffo, trenta chili più pesante, non sai dove mettere le mani. Ti rolli una sigaretta anche tu.
«Andiamo a fumare» le dici e ti alzi. Ti segue e siete in un attimo nel cortiletto semibuio stile penitenziario. Fa freddo, ma è come se fosse più facile respirare, anche se l’odore che serpeggia è quello di muro rancido. Ti senti più a tuo agio, tant’è che subito le poni la geniale domanda:
«Come va?»
«M’annoio» risponde, senza neppure guardarti.
Senti una vampata d’ indignazione invaderti la faccia, ma con un’ aria da essere superiore ribatti:
«Sì, lo so, non sono uno di quelli che…»
«Non ce l’ ho con te. M’ annoio. In generale.»
«Beata te» replichi alzando le sopracciglia «Io soffro d’ansia. Pagherei oro per barattare l’ansia con la noia»
«C’ho pure l’ansia» dice con gli occhi incollati a terra.
«Beata te, che sei così ricca. Non ti manca niente…»
Alza lo sguardo su di te e sorride. Ricambi con un sorriso sbilenco e distogli lo sguardo, anzi butti gli occhi a terra, li lasci lì, vicino al tombino, dimenticandoli.
I suoi sguardi, così dilettanteschi… sguardi di una che ha perso troppo tempo ad avere occhi solo per il proprio fidanzato, che ha speso troppi anni buoni senza vedere nient’ altro che l’oggetto del proprio amore. Sembrano innocenti, talmente sono ignoranti. Bè, proprio quegli sguardi ti mettono in soggezione, proprio quegli sguardi ti hanno fatto cadere in questa trappola in cui ti senti smarrito.
«Infatti, non mi manca niente» fa lei. «Faccio una vita ideale. Lavoro, due volte alla settimana esco di sera, ma gli altri giorni rimango a casa e vedo film in continuazione, leggo molto; ogni tanto scrivo. A casa sto benissimo, anzi è l’unico posto dove mi trovo. Sono un po’ sociopatica. Come cavolo fai tu, a stare tutti i giorni fuori casa? Sei fortunato…»
Ma che cazzo ti sta dicendo questa qui? Lei, una vita ritirata? Ma di che parla? Mente, è chiaro. Questa non rimane a casa neppure per mezzo secondo. Starà sempre in mezzo ai cinematografari, alle loro feste… oppure no?
«Chissà perché, invece, credevo che tu fossi una festaiola. Una di quelle che vedi a tutte le prime, che va a Venezia quando c’ è la Sagra del Cinema, insomma, una che si dà da fare…»
«Una gatta morta?»
Ti sta guardando ansiosa, e forse con un filo di speranza nelle sopracciglia.
«No, non proprio… Più che altro una di quelle con cui non vado d’accordo.»
«Tipo?»
Non puoi rispondere “una chiagn’ e fotte”, cioè una di quelle che chiede diritti per tutti e pensa solo ad ottenere quello che piace a lei. Se ne andrebbe via e questa è l’ultima cosa che vorresti, nonostante tutti i tuoi buoni propositi da bravo ragazzo. Eh, sì. Vorresti scappare per toglierti da quell’atmosfera carica di tensione sessuale, morbosamente fedifraga, ma, allo stesso tempo, non sopporteresti che fosse lei ad abbandonare il campo.
«Aspetta, ricapitoliamo. Noi abbiamo parlato due volte soltanto, in maniera approfondita, e tutt’e due le volte siamo arrivati ai limiti del litigio. Insomma, io non penso di esserti così simpatico…»
Lei ti guarda come se le avessi appena diagnosticato il cancro e dopo essersi tolta e rimessa la scarpa,ti ribatte:
«Ma che cazzo dici? Ti pare che t’invito qui, per vederci io e te da soli, se mi stai antipatico? Guarda che se ci siamo scaldati, quelle due volte, è perché volevo controbattere con tutte le forze cose che per me sono vitali, ma non vere. E tu le stavi facendo a pezzi, sbattendomele in faccia per quello che sono veramente. Mi fai incazzare, ecco. Però non sono una femminella scema. Insomma, io non ti ho mai sentito pronunciare una parola gentile…»
Si sta accalorando sempre di più, le sue dita si agitano come marionette e il viso è rosso. Delio apre la porta, ti sorride complice uscendo e abbassando lo sguardo se ne va via a capo chino con il bustone dell’immondizia in mano. Lei si è bloccata. Tocca a te rompere il silenzio ritmato dai passi di Delio che si affievoliscono.
«Quindi, pensavamo di esserci antipatici e invece non è così…» dici con voce bassissima
«Pare di no…»
Lei alza il viso verso di te, poi guarda di lato e riabbassa la testa.
«Ma se eri così convinto che non ti potessi soffrire e se pensavi che io fossi una di quelle che ti stanno sulle palle, perché sei venuto a quest’appuntamento?»
«Ma se mi percepisci come uno spocchioso, scortese, e tu invece sei quella con una vita ideale e perfetta, a cui non manca nulla, neppure l’ ansia e la noia, perché mi hai invitato ad un appuntamento a due?»
Vi state parlando col viso contratto in una malcelata risata, non perché siano divertenti le cose che vi state dicendo, ma soltanto perché avete dentro un’euforia che a malapena riuscite a domare e il corpo attraverso i muscoli della risata sta prendendosi la sua rivincita. I vostri corpi si vendicano. La guardi con gli occhi sgranati e un sorriso ebete, da felice, stampato sulla faccia; lei è il tuo specchio, uno specchio che ti pone domande:
«Senti, ma invece di ribattermi ogni cosa, non senti il dovere di dire una cosa carina ogni tanto?»
Quanto è romana! Simpatica da morire. Si sta mordendo il labbro inferiore e ti sorride.
«Sì, forse hai ragione» le rispondi, «ma non so fare complimenti…»
«Provaci, magari vinci un premio…»
Improvvisamente senti un’ odore particolare ma piacevole: è lei. Siete perfettamente sintonizzati. Il suo corpo produce segnali da inviarti, ti sta chiedendo di essere baciata. I segnali che lei manda sono ricevuti dal tuo. Ha occhi da preda in trappola, il respiro accelerato. Baciala, onora questa macchina sgangherata che è il corpo umano, riprenditi ciò che c’è di tuo dentro di lei e ricambia con quello che di suo è in te.
«Ok… L’unico complimento che saprei farti è questo…» dici avvicinando il viso a lei.
Le facce ora sono serie e tutto si è fermato ad aspettarvi. Dalla sua bocca l’odore di chewing gum. Anche la Terra è ferma, in attesa di questo nuovo amore che vuole sgorgare.
Lei china leggermente il capo, per schivare il naso e accomodarsi al bacio e ti frana addosso, abbandonandosi, in maniera del tutto inaspettata, tant’è che perdi l’equilibrio e ti verrebbe da ridere se non fosse che le tue labbra adesso sono bloccate in un bacio duttile, al sapore cremoso e dolciastro del suo rossetto. Si adatta bene alla tua bocca, la sua bocca, passata improvvisamente allo stato liquido o fluido, non sai bene: sei immerso in un budino alla menta. Le poggi una mano sul fianco e lei scatta, inarca la schiena, spinge il suo pube contro il tuo e il bacio diventa feroce, ti morde i denti e sputa fiato rabbioso dal naso, come un drago.
Delio, proprio in quel momento arriva. Tu lo vedi rimanere fermo e il suo sguardo da dio greco incrocia il tuo. Trattiene una risata. Lei ha sentito che qualcosa non quadra, si stacca. Il barman vi passa accanto come se nulla fosse e rientra nel locale. Lei ti sorride con occhi luminosi.
«Grazie, era un bel complimento. Da te non me l’aspettavo»
Le sorridi. Ti da un altro bacio, piccolo come un sorso d’acqua. E, con una faccia bambinesca che non le avevi mai visto fare, ti dice:
«Vado un attimo in bagno»
Poi ti prende il viso tra le sue mani, lo avvicina al suo non per baciarti, ma per fissarti negli occhi.
«Non te ne devi andare, devi aspettarmi. Ok?»
Le fai sì con la testa e lei di nuovo:
«Cosa vuoi per cena? Ho del pesce spada a casa: vieni?»
«E Francesco?»
«È fuori Roma per lavoro. Tutta la settimana»
Vorresti andartene e lei lo capisce. Si picca di ribattere, leggermente alterata:
«Guarda che non vado col primo venuto, né vado con qualcun altro se sono innamorata. Io non tradisco» e aggiunge rapida «Tra me e Francesco è finita da un pezzo. Lui ha un’ altra, lo so. Abitiamo soltanto insieme, perché dopo dieci anni, tutto quello che possiedo è a metà con lui, e non parlo solo di beni materiali. Adesso fammi andare, che me la sto facendo sotto!»
Rientra con una corsetta da pipì. Rimani lì al freddo come un coglione. Non sai cosa fare. Entri anche tu. Arrivi al bancone, Delio ti sgrana gli occhi e sbotta a ridere silenziosamente, tenendo una mano davanti alla bocca. Tu rispondi con una risata con la bocca all’ingiù, come a scusarti. Ritorni in sala. Dal soppalchetto arriva la “Pavane” di Ravel. Il tuo sorriso si blocca di colpo. Sei lì, al Forte Fanfulla, nel giorno di Santo Stefano e ti accingi a fare il tuo primo tradimento della vita, con la donna che hai desiderato più di tutte le altre che hai mai conosciuto. Decidi che è veramente troppo. I secondi passano, i minuti pure. Lei non si fa viva. Sghignazzi. Forse le è venuto un attacco di diarrea! La immagini piegata sul vaso a scacazzare nervosamente tutta la magia del primo incontro. Ah, sarebbe un bel modo di uscire da quella situazione penosa! Un destino di merda. La Pavane è finita, ma lei ancora non ricompare. E se ti avesse lasciato lì? Còlta da rimorso improvviso è fuggita a casa a piangere sulla foto del buon Francesco… Ma sì, sicuramente è solo per ripicca verso di lui che ti ha invitato; è solo la rivalsa di una ragazza tradita che ha fatto iniziare questo vostro matrimonio oculare e che dura ormai da più di due settimane; tu saresti mollato subito dopo l’atto orrendo che fra poco compirai e di cui ti pentirai come uno stilita.
Ti alzi e ti avvii verso i servizi, la trovi leggermente ricurva sul lavandino nell’ anti bagno, indaffarata a passarsi l’eyeliner. È stretta nelle sue spalle e trema leggermente. Anche il montgomery è un po’ scarso per questo freddo. Ti sorride
«Ancora un secondo e andiamo. Scusami, ma sono paranoica su queste cose. Non vorrei cominciare male, tutto deve essere in ordine.»
Rimani muto, ti strofini leggermente l’occhio sinistro anche se non vorresti farlo, ma lei lo nota e la faccia le diventa un punto interrogativo. Ora o mai più.
«Senti, Claudia… Io non me la sento… Tutto così in fretta. Secondo me, stai facendo una cazzata e io non vorrei esserne l’artefice, tanto meno il complice. Ho il dovere di dirtelo…»
Lei sta per interromperti, ma tu le apri i palmi delle mani davanti al viso.
«Lasciami continuare…»
«Ma che cazzo devi continuare, stronzo? Mi hai preso per una cretinetta, che, appena il maritino se ne va per lavoro, si porta a letto il primo venuto per sentirsi corteggiata o amata da qualcuno? Bè, vaffanculo, non mi sceglievo un coglione come te! Ma ti sei visto? Eppure ce l’hai qualche annetto, eh? Sono io che ho iniziato a parlarti, io, a chiederti il numero di telefono, io, a chiederti il primo appuntamento! E che fa questo stronzo? Si sente in colpa e addirittura mi fa la paternale! Ma sparisci, testa di cazzo!»
«Sì, ma sei tu, quella che non ha una situazione chiara; sei tu che non sei padrona della tua vita; sei tu che, grazie alla tua condizione, disorienti il prossimo con i tuoi atteggiamenti ambigui…»
Una vampata calda sulla guancia interrompe la tua arringa difensiva. Ti ha mollato un ceffone e se ne sta andando via, a passo veloce, con la testa insaccata nelle spalle. Provi a raggiungerla, allunghi una mano e tenti di prenderle il braccio, ma lei con uno scarto ti manda a vuoto e affanculo. Esce, la porta si richiude. Rimani lì, con le braccia distese lungo i fianchi. Ti giri verso il bar. Delio fa finta di niente, è affaccendato. Ti avvicini, raggiungi il bancone, una risata di Xavier arriva dall’altra sala, ti poggi. Nel silenzio che sa di minestrone, Delio ti porge un pastis.
Fabio Biondalzati nasce su Facebook nel 2005 ma nella vita ha tutt’altro nome e un sacco di anni. Punk in adolescenza e in senilità, è stato nel corso della vita, falegname, cuoco e straccivendolo. Ha scritto e diretto 12 spettacoli teatrali e 3 lungometraggi digitali e abusivi. È un gentiluomo coatto e libertarian.