Storia della musica del futuro.

Dammi dell’acqua
Qui sulla bocca
Sono alla frutta che
Non hai ancora mangiato
La caramella
Che tutti hanno buttato
Che tutti hanno sputato
Che tutti hanno schifato

Potrei iniziare con “se c’è una cosa che non mi piace..” ma sono talmente tante le cose che non mi piaciono da rendere l’affermazione “se c’è una cosa che non mi piace..” una bugia enorme.

Però, se c’è una cosa che non mi piace… sono le recensioni dei libri dove il recensore non fa altro che parlarci di cose sue usando le parole più difficili che conosce e citando altri ottomila autori, di cui una buona percentuale nati in Kamčatka e uno o due cresciuti in qualche zona tribale del Borneo, questo accade perché il 90% delle volte chi recensisce libri ha sicuramente uno o più romanzi scritti di suo pugno in qualche cassetto di casa rifiutati non da uno ma da più editori (lo stesso fenomeno antropologico avviene anche nel campo delle recensioni musicali).

In questo caso specifico però non potrei nemmeno volendolo essere distaccato e non infilarmi dentro la storia che sto per raccontarvi.

I primi di ottobre vengo a sapere che ci sarebbe stata una presentazione di “La storia della musica del futuro” dei Camillas in un locale di Milano, qualche mese prima mi ero sentito con Ruben e in quella occasione ci eravamo lasciati dicendoci che non appena ci sarebbe stata occasione ci saremo scambiati un abbraccio.

Gli mando un messaggio dicendogli “è ora di riscuotere questi abbracci”, mi informo sulla presentazione, su come fare per parteciparvi e sul luogo esatto.

Come da copione per qualunque persona ossessiva arrivo con una buona ora di anticipo, vedo Ruben seduto lì davanti al locale e realizzo che in sedici anni di concerti de I Camillas (in realtà venti anni come ci siamo poi detti chiacchierando visto che ricordo perfettamente un loro concerto strepitoso come Aerodynamics, la loro formazione precedente, al bar della stazione di Urbino) non ci eravamo mai veramente parlati, conoscevo Zagor dai miei sedici anni e mi relazionavo più facilmente con lui per via dell’affetto che una persona che ti ha visto crescere ha nei tuoi confronti (quando era sul palco però cercavo sempre di nascondermi tra il pubblico per evitare le sue dediche con nome e cognome che tanto mi imbarazzavano e che immancabilmente arrivavano), per me, in tanti anni vissuti fuori, vedere un concerto de I Camillas era un po’ sapere che ero tornato a casa, anche se questo avveniva lontanissimo da casa, come quella volta che li vidi duettare coi Ruins in una delle prime edizioni dell Here I stay festival in Sardegna.

Lo saluto, iniziamo a chiacchierare, mi racconta delle ultime cose fatte, parliamo del concerto di Pesaro che ho seguito in streaming da casa e durante il quale mi sono innamorato della perfomance di Giacomo Laser, della quale lui mi ha detto “sai, la gente si chiedeva: chi è questo matto che sta urlando sul palco, è stato un momento bellissimo”, parliamo di così tante cose che arriviamo a parlare anche di politica locale.

Nel frattempo iniziano ad arrivare altre persone, Ruben passa un po’ di tempo con tutti scambiando due parole, salutando vecchi amici, altri musicisti, perché, tra le mille cose inafferabili che I Camillas sono, c’è anche essere famiglia e esserlo con tutte le persone che in 20 anni si sono avvicinate a loro, anche fosse per un solo concerto.

Per me I Camillas sono la psichedelia.

Cari musicisti/critici musicali non storcete il naso: non intesa come genere musicale, ma come esperienza, psichedelia nel senso più profondo, dal greco psykhé anima edêlos evidente, chiaro.

Se avete assistito almeno una volta a un loro concerto sapete di cosa parlo: un gruppo di persone può vivere collettivamente un’esperienza visionaria, chiarificatrice, che li riporta spesso a concetti quasi banali ma che mai come durante l’esperienza collettiva diventano realtà assolute come il fatto che l’amore è TUTTO, dicevo, un gruppo di persone può vivere questa esperienza visionaria ma è lo sciamano la guida dell’esperienza e la figura che la rende possibile, I Camillas questo sono, sciamani capaci di farci ridere e piangere allo stesso tempo, uno spettacolo dolce amaro in cui ci mostrano cose che sono sempre state lì ma che senza la loro mediazione non avremmo mai colto realmente, come avviene nella più pura delle esperienze psichedeliche.

In “La storia della musica del futuro” I Camillas spingono oltre i confini del tempo il loro viaggio sciamanico e ci parlano non solo della muscia che verrà, ma dei modi di viverla, di comporla, di venderla, di consumarla che avverranno nella nostra civiltà futura; per farlo compiranno un viaggio lontanissimo nel futuro e da lì faranno ricerche sulla musica del passato, ma è un passato visto da un futuro lontanissimo, quel passato è il nostro futuro.

Capito il meccanismo narrativo?

Ancora una volta si fanno guide per mostrarci cose che non sarebbero accessibili a noi se non attraverso la loro mediazione e lo fanno talmente bene da inventare a tratti un linguaggio nuovo, come del resto ci hanno mostrato di essere capacissimi di fare con il linguaggio musicale.

Ed è così che ci donano per esempio pezzi della biografia di Aldo Troppo:

“…Poi ho comprato un telescopio per allontanare lo sguardo, per non essere più in grado di fare ciò che avevo già fatto, per superare l’indecisione affrontando l’enormità.”

O nel descriverci le città del futuro concepite come enormi strutture sonore ci parlano di direttori di orchestra imbevuti di cloro e Alchermes, perché I Camillas sanno immaginare un futuro in cui tutto vola, vibra, in cui la materia stessa non esiste più ma l’Alchermes, il liquore con cui tingevano le nostre mamme uno strato delle torte dei nostri compleanni bambini c’è ancora, donandoci un punto di riferimento nella mappa dei nostri ricordi passati per non sentirci troppo smarriti nel futuro, ancora una volta questo è il compito dello sciamano, accompagnarci nel viaggio, farcelo capire senza spiegarcelo e darci riferimenti per non smarrirci di fronte a una verità più grande di noi, per superare l’indecisione affrontando l’enormità.

“La storia della musica del futuro” è un libro che puoi leggere viaggiando nel tempo, puoi aprirlo in una pagina qualsiasi è leggerne un paragrafo, poi far scorrere un tot di pagine a caso e leggerne un altro e questo puoi farlo seguendo la numerazione della pagine sia in ordine crescente che decrescente.

Dal momento che parla di musica più che un libro è una radio con la quale possiamo captare segnali provenienti da un futuro lontanissimo, un futuro passato, ogni pagina una differente stazione radio da un differente futuro.

Se la vita è quell’attimo compreso tra il nulla che la precede e il nulla che la segue la lettura di questo libro ci fa viaggiare alla velocità della luce nel nulla raccogliendo qua e là frammenti di storie, voci, aneddoti che il nulla ci sputa addosso come luminosissime stelle cadenti.

“Nessuno sa quanto imbarazzo provavano i bambini delle scuole di governo mentre cantavano l’inno muto dello Stato durante gli anni del regno antivalente di Geffri Canaglia, detto “Il Corretto” a causa della sua attenzione estrema per la punteggiatura”

In passaggi come questo di Geffri Canaglia I Camillas si fanno storeografi del futuro che ci aspetta, i nomi dei personaggi che incontriamo durante questo viaggio sono di una bellezza assoluta: Aldo Troppo, Geffri Canaglia, Dino Gubìroli, Miriam Atomici, Gilberto Perù…

L’ho tenuta fino adesso, ma ora farò una cosa da recensore che non mi è mai piaciuta: citare altri autori, “Storia della musica del futuro” mi ha ricordato tantissimo diversi testi di Vonnegut, in particolare Galapagos, che se non lo avete letto beati voi perchè ora avete l’opportunità di farlo.

Durante la presentazione Ruben, nel suo ruolo di sciamano, ci ha accompagnato per mano dentro la musica del futuro leggendoci paragrafi qua e là dal libro, intervallando il tutto con alcune canzoni dei Camillas e alcune cover (una su tutte “Vent’anni di galera” di Mauro Pelosi ) poi, in chiusura “Rovi” dei Camillas, arrivati a metà della canzone il testo e l’assenza dei cori della seconda voce mi hanno fatto piangere, ora, in un baretto piccolo, a un evento chiuso con 15 persone nel quale non ne conosci nemmeno una, mettersi a piangere è indubbiamente imbarazzante, distolgo lo sguardo da Ruben che canta guardando qua e là per il locale, cerco di distrarmi per non piangere e incrocio lo sguardo con una ragazza che stava anche lei piangendo e a quel punto sono esploso.

Ancora una volta I Camillas hanno fatto la loro magia e ho amato fortissimo quella ragazza durante il tempo di quei lacrimoni goccioloni.

Non sanno ritrovarmi fra i rovi
Sulle spine io disegno l’aurora
Quando scoppiano le luci del sole
Vedo il sangue steso sopra le more

Ed adesso cosa resta da fare?
Salutando le mie cose più buone

E sedermi sui divani degli altri
E sperare che cominci il rumore

Il libro si chiude con un post scriptum di Ruben che è di una dolcezza e leggerezza unica, ma quello non ve lo riporto qui, comprate “La storia della musica del futuro” per leggerlo.

(ho cercato online qualcosa che potesse spiegare la magia di cui ho più volte parlato in questo articolo, credo che questo video la rappresenti bene, tra l’altro in chiusura c’è una cover di “mi piace andare al mare nudo” di Calcutta da brividi)




Ciro Fanelli è pittore, illustratore, tatuatore e scrittore. I suoi lavori sono apparsi su “La Lettura – Corriere della Sera”, “Vice”, “Esquire” e altre prestigiose riviste europee e giapponesi. Ha pubblicato Pinocchio e Les corbeaux pleurent la merde per Le Dernier Cri (Marsiglia,FR), per Rizzoli Lizard ha pubblicato Nel bosco del nostro splendore.