In questo articolo voglio andare nel futuro tornando indietro colla mente.
Oggi è il:
.12022021.
Oggi è data palindroma di un giorno palindromo, di un anno palindromo, di un’era palindroma, di un sempre palindromo, di un tutto palindromo.
Una sequenza di numeri che si evolvono in cifre ribaltabili senza problema alcuno.
Il problema qual è? È che come “gira gira”, la questione resta la medesima, non solo nella sostanza, ma proprio nella forma.
Sembra incredibile eppure il palindromo c’è, esiste, popola il nostro mondo e lo influenza, plasmando i confini del tempo e dello spazio.
I palindromi sono ovunque. Si nascondono sotto la cenere della memoria, nelle intercapedini dei neuroni.
Tutto è palindromo.
Ma solo qualcosa lo è in maniera più evidente di altro.
Per chi come me è affascinata da questa esternazione di percorsi percorribili in entrambi i versi (perché identici, poli-percorribili, polifunzionali, poli dello stesso percorso), non solo ne è attratto dalla perfezione geometrica, estetica, concettuale, ma resta intrappolato nella labirintica simmetria mentale che induce alla vista, dal gioco enigmatico che c’è al suo interno.
E se fosse troppo perfetto per non essere imperfetto?
Assumiamo di fondo che il palindromo sia totale emblema di imperfezione dato dalla ciclicità schifosa e impossibile da scardinare delle nostre vite. Ad esempio, no per dire, io ora dovrei uscire magari a fare una passeggiata e invece sto qua scrivere questo articolo che leggeranno quattro stronzi nerd paranoici, quanto cazzo poco ha senso questa cosa e questa vita (la mia)?
E nulla sto qua che parlo di palindromi, che invece hanno senso, sono perfetti.
Perché sì, ammettiamolo no, è più bello vivere nel mondo delle “Idee di Platone” o nel mondo edulcorato dei romanzi Harmony, dei film della Disney, di quei cazzo di telefilm Netflix.
Idealizzare tutto: persone, vite, prospettive, luoghi, racconti e relazioni.
Il tangibile è una merda diciamocelo. È imperfetto, sporco, logoro. Presenta problemi, opacità, retaggi impossibili da scrostare.
Invece guarda lì,
l’idea come è perfetta, come mi piace quell’idea precisa che sta lì
scintillante nella sua intangibilità.
Dietro l’idea c’è tutto quello che si evita adeguatamente di fare: guardare in
faccia la realtà.
Guardare, ad esempio, in faccia una persona e sputargli in faccia se vi fa schifo solo perché, sì, guardandola in faccia mi accorgo che ha quel capello è fuori posto, che io immaginavo perfetto. Se poi mi accorgo che ha un modo di gesticolare che, quando sono stanco, mi dà fastidio? No meglio l’idea allora.
Meglio che non possa scoprire un cazzo, che non possa scoprire che le
imperfezioni potrebbero farmi impazzire di piacere, e poi come si fa se scopro
che le imperfezioni mi piacciono e quindi che la gente mi affascina, mi attrae.
Quella merda della gente.
Le sbeccature della matita, i margini poco definiti di una penna non
funzionante potrebbero rendermi ebete.
Anzi no, time out.
È ancora peggio la questione.
Nel mondo delle idee contemporaneo esiste anche l’idea di imperfezione che è
talmente perfetta da non poter essere possibile; e se poi nel mondo del
sensibile anche quell’imperfezione, cristoiddio, non sia quella che io avevo
immaginato. Siamo in un mondo in cui l’idea di ciò che mi deve piacere, perché
è imperfetto e malato e distorto, deve essere necessariamente corrispondete a
ciò che ho nella testa. Noi siamo qua che ancora idealizziamo e crediamo nella
perfezione (magari imperfetta, ma comunque è perfezione).
Io sono colpevole,
sì, amo l’emblema della perfezione perfetta, il palindromo, così come quello
della totale imperfezione.
È tutto così inquietante e affascinante allo stesso tempo.
E allora non uscite più, statevene a casa davanti al piccì, con la vostra paura del sensibile e con le vostre angosce quotidiane, a immaginare l’imperfezione perfetta (occhio alle seghe però, si rischia la tendinite, eh!), così almeno in questo senso tutto sarà imperfettamente al suo perfetto posto, come tutto ciò fosse imperfettamente palindromo, come la vita.
.ÈDIOLOGNOMOMONGOLOIDE.
Claudia Acciarino è laureata in filosofia ed è attiva nel panorama underground di Roma. Ha curato per anni la direzione artistica del Dal Verme prima di rilevare il negozio di dischi Inferno Store. Porta avanti vari progetti musicali.