È la musica pop che cerca di infiltrarsi nella musica elettronica oppure è la musica elettronica che cerca di infiltrarsi nel pop? Domande del genere ovviamente non hanno senso. Ha però avuto senso fare qualche domanda a Splendore, il cui EP di debutto esce oggi su Ivreatronic. OMG, am I really feeling these feelings I’m feeling right now? è un viaggio nell’hyperpop più lucido e colorato. Sembra di sentire A.G. Cook o certe cose di SOPHIE, canzoni che a un certo punto possono prendere strade inaspettate, come fughe dance o momenti ambient. Ma insomma è inutile continuare a parlare. Qui c’è un estratto dall’EP:
E qui invece c’è la nostra chiacchierata:
Parlami un po’ di come è nato il disco.
Droga mi sembra il luogo adatto per raccontare la genesi di questo disco. Due anni fa ho scoperto di soffrire di depressione cronica. Da quel momento ho cercato aiuto, trovando soluzioni nella psicoterapia di gruppo transazionale quanto nello studio e nella scoperta del mio corpo grazie al lavoro con amicizie del mondo delle arti performative. Ho scoperto me stesso e la voglia di tornare a fare musica. And to cut a long story short, il figlio di questo percorso per me incredibilmente salvifico e affascinante è OMG.
Se dovessi spiegare cos’è ‘OMG, am I really feeling these feelings I’m feeling right now?’ cosa diresti? C’è una cornice concettuale ben specifica che lo sorregge o è “semplicemente” la tua prima raccolta di canzoni?
Questo disco ha due anime. Una maiuscola, Oh My God, pop. E una criptica e sperimentale come il sottotitolo. È un gioco funambolico tra estremi. È la migliore descrizione che potrei darvi del mio discorso interiore. C’è uno scritto di R.D. Laing, maestro dell’antipsichiatria, che lo spiega con più efficacia:
L’ho persa
Perso cosa?
L’hai vista?
Visto cosa?
La mia faccia
No.
Perché questo mix di diverse lingue (italiano, inglese, spagnolo)?
Quando ho iniziato a lavorare su OMG non avevo intenzione di scrivere testi di senso compiuto. Anche i brani più strutturati a livello lessicale sono dei collage di annotazioni da smartphone o depredazioni di romanzi non tradotti, articoli su Medium, albi illustrati per bambini. L’intento era di costruire un esperanto fallimentare nel significato, nella pronuncia, nel senso. Questi testi dovevano rappresentare un esperanto futuristico impossibile. Nessuno parla e parlerà mai come i miei testi, nemmeno il più tremendo manager milanese anglista.
Tu sei anche un critico musicale. Quando diventerai grande vorrai essere l’uno o l’altro?
Non avrei mai voluto essere un critico musicale. E probabilmente non mi ci reputo. Scrivo di quello che trovo interessante, al ruolo del critico musicale preferisco quello del divulgatore. Mi sembra più inerente alla mia sensibilità umana e alla mia volontà di supportare situazioni, scene, artist*.
Il tuo disco è uscito su Ivreatronic. Credi si possa parlare di una scena elettronica in Italia? Quali sono le realtà che più ti interessano in Italia?
Ne parlavo con Populous qualche mese fa. Non devono – e non possono – essere gli artisti stessi a costruire la scena, questa spinta deve venire dai media. Non si costruisce una scena a tavolino. E in Italia è sicuramente mancato, da parte della stampa, l’interesse a raccontare questa ‘scena’. Ci sono piccoli ambienti, anche molto differenti tra loro, su cui ruotano personaggi e artist*, ma non saprei dirti di cosa parliamo se parliamo di ‘scena elettronica italiana’. Io mi innamoro di situazioni anarchiche come Tropicantesimo a Roma o Macao a Milano, quanto di strutture più ‘istituzionali’ come The Italian New Wave, tentativo interno di evidenziare un sottoinsieme di questa scena.
Ascoltando l’album ho notato vari riferimenti al collettivo PC Music. Ti senti più vicino all’ambiente della scena elettronica o a quella dell’Hyperpop?
Potrei risponderti come A.G. Cook al «The New York Times»: per quelli del pop son quello che fa roba sperimentale, per quelli della sperimentale son quello che fa pop.
Il disco è supportato da un apparato visivo che risulta essere molto presente. Puoi parlarmi di questo fattore e dirmi a cosa ti ispiri da questo punto di vista?
Volevo trasformare il mio essere bio-uomo in tecno-uomo, per riprendere un concetto caro a Preciado. O meglio, un tecno-uomo-digitale. Volevo potenziare il concetto del mio corpo con protesi tecnologiche digitali. Quindi ho utilizzato una serie di tecniche di manipolazione video-grafico per creare degli splendori impensabili e dei proto-mondi in cui inserirli. L’universo visivo di questo disco gioca con il concetto di ‘hyper’ applicato a tecniche come la digital art e la modellazione 3D quanto nel modo di trattare la performance. La sublimazione di questo pensiero è la performance che ho preparato per presentare questo lavoro, uno streaming di 40 minuti in cui questo pensiero troverà la sua completa espressione con contributi di attiviste post-porno, performer del mondo della danza contemporanea, digital artist. Accadrà questo venerdì, 20.11.20, bel numero!
Il tuo disco ha un sapore molto internazionale. Quanto è difficile per un artista italiano creare un prodotto che ambisca a uscire fuori dai confini italiani?
Non penso che, in questo periodo storico, le difficoltà riguardino composizione, ispirazione o tecnica. Le difficoltà insorgono quando ci troviamo a dover/voler esportare questi prodotti di valore. L’industria musicale internazionale, oggi, è estremamente complessa nonostante sia mascherata da mercato globale. È arduo comprendere come posizionarsi al suo interno quando le logiche sono legate ad una oligarchia algoritmica. L’ambiente italiano ha poche informazioni su come funzioni fuori dai nostri confini e spesso ci si muove a tentativi e intuizioni e botte di culo. Forse dovremmo condividere più informazioni tra di noi, arricchire questo manuale di resistenza indipendente.
Quali sono stati secondo te i momenti più importanti degli ultimi dieci anni in Italia dal punto di vista della musica elettronica?
L’affermazione internazionale di Lorenzo Senni, Aphex Twin al Club to Club.
Quale sarebbe l’evoluzione ideale di ‘OMG, am I really feeling these feelings I’m feeling right now?’? Hai in mente progetti collaterali, spin-off, eventi particolari?
OMG nasce, artisticamente e mentalmente, per fissare un punto di partenza. È un lavoro volutamente ampio nei contenuti e nelle scelte che mi permette futurabilità artistica. Un prossimo disco pop sarebbe coerente quanto un album club-oriented o un EP più sperimentale. Nel breve futuro c’è l’idea e l’intento di continuare ad indagare le arti performative. E, a contrasto con il mio modo di produrre massimilista, la mia massima ambizione è comporre un disco ambient credibile. La sottrazione al minimalismo mi affascina.
Credi che la competizione (che a volte sfocia in odio) tra musicisti e critici musicali in Italia sia una cosa peculiare al nostro paese o immagini sia così un po’ ovunque?
La nostra mentalità è intrisa di retaggio culturale campanilistico. Nelle mie esperienze estere ho percepito un differente comportamento nel supporto reciproco apriori. Come se il ruolo del musicista fosse naturalmente inserito all’interno di un sistema solidale riconosciuto dai suoi esponenti.
Una domanda un po’ banale: cosa stai ascoltando in questo periodo?
In questi giorni mi canticchio ossessivamente “Sports Men” di Haruomi Hosono e ascolto in loop “Limelight” dei Touché Amoré. Come dischi Phoenix: Falmes Are Dew Upon My Skin di Eartheater, ~~~ di Ana Roxanne, Magic Oneohtrix Point Never, le ultime uscite di Croatian Amor. Pesco spesso dalle playlist con i cataloghi di Orange Milk Records, Light in the Attic e Music From Memory, tra le mie etichette preferite. Pc Music e Charli XCX come stelle polari. Di italiano, Il Bestiario di Maria Monti: incredibile.
Riccardo Papacci è co-fondatore e CEO di Droga. Ha scritto un libro (Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro) e ne ha in cantiere un altro. Collabora con diverse riviste, tra cui Not, Il Tascabile, Esquire Italia, Noisey, L’Indiscreto, Dude Mag.