“Notti tossiche. Socialità, droghe e musica elettronica” di Enrico Petrilli.

Il “principio di autocavia” dei clubber.

Ed è stata una serata bellissima, proprio perché, appunto, è la prima volta in cui mi ricordo di aver avuta la prima di una nuova serie di ricordi di un altro tipo proprio. […] Nel senso che ho capito che c’era tutto un linguaggio e un mondo di esperienze, avevo accesso a delle sensazioni nuove. […] E poi io ero fuori come una pigna, quindi ho dei ricordi principalmente di gioia e euforia e di non aver avuto bisogno di nient’altro se non appunto ballare. […] Ed era una roba nuova, comunque, perché, per quanto, appunto, avessi avuto esperienze in passato con l’alcol o altri tipi di droghe, leggere, questo era proprio un nuovo mondo di esperienze con la musica ma, in generale, un nuovo mondo di episodi e proprio tutto un nuovo lessico, un vocabolario, un nuovo linguaggio da condividere con i miei amici, proprio come se avessi aperto una nuova fase”. (Iside, B03FOO)

La musica elettronica da ballo è nata sotto il segno del genio musicale e della sensibilità chimicamente arricchita di Larry Levan e Frankie Knuckles (Brewster e Broughton, 2012), ancora prima nel proto-clubbing di David Mancuso le droghe sono state uno degli ingredienti essenziali delle notti dei party pariahs (Lawrence, 2011), infine la rave culture inglese ha con- sacrato l’ecstasy al pantheon psicoattivo occidentale (Collin, 2009). Non stupisce quindi che le discoteche rappresentino ancora oggi, per chi ha deciso di abbandonarsi alla socialità danzante della musica elettronica, un laboratorio segreto dove poter sperimentare con questi piaceri stupefacenti. Un connubio rimasto in essere nonostante la commercializzazione del genere avvenuta negli anni ’90, la criminalizzazione dei rave, il panico morale sulle party drugs e i tentativi dei grandi brand produttori di alcolici di influenzare i desideri narcotici dei giovani consumatori attraverso la creazione di nuove bevande e l’istituzione di nuovi spazi del divertimento (Brain, 2000; Cri- tcher, 2003). Dopotutto, la totalità dei clubber intervistati non dimostra un’attitudine negativa nei confronti delle sostanze psicotrope (legali o illegali, pesanti o leggere), anche chi come Gaëlle (B09FYE) non ha mai provato droghe pesanti, o come Gabriel (B14MYE) le ha assunte raramente o, infine, Maria (M11FOE) ha smesso ormai da tempo.

Le parole di Iside in calce al paragrafo riportano la sua prima volta con una droga cosiddetta pesante l’MDMA; oltre ad evocare in modo diretto e vitale il legame sensuale tra party drug e clubber, introducono alcuni aspetti interessanti per analizzare le abitudini narcotiche sul dancefloor. I rave o i club di musica elettronica sono per la gran parte dei miei interlocutori il primo contesto pubblico dove entrare in contatto diretto con queste droghe, prima osservando persone alterate e poi assumendole in un ambiente percepito come sufficientemente sicuro e con l’assistenza di clubber più esperti in materia. Oltre ad esserci una democratizzazione dell’alterazione psico-fisica, dato che la quasi totalità dei pre- senti assume almeno una sostanza psicoattiva, sia essa legale o meno, in questi contesti il consumo volontario di droghe avviene all’interno di un ambiente votato al divertimento, in cui questa pratica non è – almeno apparentemente – un riempitivo della noia o una cura a problemi di ordine fisico o psicologico, ma un mezzo per apprezzare al meglio la mu- sica, la socialità e la danza collettiva.


Inoltre, la citazione di Iside rileva l’importanza di questa prima esperienza: la «prima volta psicotropa», in cui «non si apre il proprio corpo ad un’altra persona, ma alla struttura molecolare di una sostanza stupefacente», è in grado di generare una congiunzione biochimica tanto piacevole da segnare la biografia personale, tanto quanto il primo rapporto sessuale. Primo, perché l’esperienza sensibile composta da sensi, emozioni e pensieri è stravolta, si è catapultati di fronte ad un nuovo modo di percepire e vivere il proprio corpo. Secondo, perché questo shock sensuale è il primo passo per apprendere un nuovo modo di vivere la notte. A partire da questo momento molti clubber mettono in atto un lento processo di conoscenza su se stessi e sulle droghe, simile al “principio di autocavia” concettualizzato da Preciado (2015, p. 340), in cui il proprio corpo diventa un laboratorio dove poter sperimentare con molecole illegali e vivere emozioni estromesse dall’orizzonte esperienziale occidentale.
Il principio di autocavia dei clubber è uno studio attraverso se stessi per capire quali sostanze interagiscono meglio con il proprio corpo e come assumerle per godere delle sensazioni e delle emozioni presentate in dettaglio nei prossimi paragrafi. Daniela (M15FOE) si vanta: “la ketamina ho imparato a usarla, quindi so andare su Saturno”, mentre Iside (B03FOO) spiega come approcciarsi all’alcol: “secondo la migliore delle tradizioni, ovvero piano piano, giusto, giusto, con un bel crescendo, con una solida base di shottini di vodka pura o tequila […] e a un certo punto fermandomi”. Si impara anche quali droghe è meglio evi- tare, perché fanno troppo effetto e gettano in uno stato di possessione narcotica, in cui si perde totalmente il controllo – “non tocco più la ketamina nei locali, dopo un brutto k-hole, né le canne nei locali, è difficilissimo, perché m’addormento, crollo” (Roberto, M09MOO) – o perché non fanno abbastanza effetto, come per Angela (M10FYO) che non si spiega perché l’MDMA “difficilmente mi sale bene […] intorno a me tutti fattissimi e io che potrei andare a cena con mia madre”. Infine, ci si accorge anche di come dopo anni una determinata molecola non fa più lo stesso effetto (il caso più ricorrente è quello dell’MDMA), essen- do cresciuto il livello di tolleranza del corpo e, a malincuore, si smette di consumarla perché “smette di essere così divertente” (Jeroen, B07MOE).

Un apprendimento non limitato solamente al rapporto tra soggetto e droghe, ma indirizzato a tutta la situazione elettronica circostante, per fare in modo che i tre lati del triangolo (soggetto, droga, ambiente) postulato da Norman Zinberg (2019) esprimano al massimo il proprio potenziale edonico. In questo senso, certi stili di musica elettronica si associano meglio a certe sostanze secondo i clubber: la cupezza della techno, soprattutto nelle venature più industrial, va a braccetto con le botte introspettive di ketamina; le sonorità calde della house sono esaltate dalla carica empatogena dell’MDMA; mentre i ritmi forsennati di quei generi post-globali che mischiano musica elettronica e tradizioni musicali atre sono simili a quelli di un cuore sotto anfetamine. Si impara anche a calcolare i tempi per riuscire a far combaciare quando ti sale ad un preciso momento della serata. Per Barbara (B15FOE) “l’apice della festa” è la chiusura del dj e quindi sceglie di aspettare il può possibile prima di iniziare a carburare con la sua droga del momento, la ketamina, perché ha un effetto sul corpo immediato e di breve durata rispetto ad altre droghe come ecstasy o LSD. Allo stesso modo, per gli amanti dell’MDMA è meglio non aspettare troppo, la lunga permanenza dei suoi effetti rischia di far arrivare troppo carichi a fine evento e ritrovarsi a vagare un po’ spersi ed elettrizzati in locale prossimo alla chiusura.


Enrico Petrilli è assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove sta svolgendo uno studio sulla securitizzazione della notte. Ha svolto attività di ricerca, tutoraggio e formazione nelle Università degli Studi di Torino, di Milano-Bicocca e del Piemonte Orientale e presso l’Istituto di ricerca Eclectica di Torino. Ha scritto di clubbing, droghe, piaceri e rinascimento escrementale sulle riviste “Zero”, “Prismo” e “Not”, mentre è in corso di pubblicazione Sociologia del male e altri scritti, una raccolta di saggi di Edwin M. Lemert di cui è curatore insieme a Cirus Rinaldi.