“Chitlins”, ovvero Quinto Quarto, il grande assente della musica contemporanea.

Ero tentato di scrivere due righe sui 50 anni della morte di Hendrix, fra la retorica imbarazzante e la banalità di una o più generazioni cresciute di solo sound che va dagli anni 80 al Post – Rock o giù di lì, oltre a quelli che “eh sì, ma è stato superato”, ma al di là del non voler essere confuso tra la selva di tipi che quando va bene hanno un background tutto “british”, c’ è gente che tecnicamente mastica Rock più di me, per quanto magari son drogati di metal e doppie casse e virtuosismi alla Malmsteen, io mi son fermato un po’ prima. Mi sento in dovere di spezzare una lancia verso quelli che “eh, ma che fine ha fatto quella musica, quei gruppi, quel sound, quella voglia di ballare, la magia dei grandi concerti”, ma spesso costoro sono inconsciamente parte del problema, senza che se ne rendano conto percarità; il punto è che certe storie vengono da molto più lontano e se quei mondi avevano un fascino esso era diametralmente opposto ai fuseaux e alle capigliature cotonate. A malapena c’era qualcosa in comune coi “Jeri Curls”, magari un bel taglio alla Pompadour.

Alzi la mano chi almeno una volta nella vita ha mangiato budello di maiale. Io una volta, arrostito a cubetti piccolissimi, quando i ristoranti che facevano cucina romana avevano ancora gestori che erano figli o nipoti di osti e camerieri che avevano ancora l’ attitudine di quelli che un tempo erano chiamati “sguatteri” fino al giorno in cui è diventato dispregiativo, cosa che originariamente tale non fu. La maggior parte dei ragazzi oggi storce il naso di fronte a sta roba da mangiare e non c’entra niente il fatto di essere vegano o meno, magari c’entra il fatto che a mangiare sapori “neutri” si diventa neutri, sia chiaro vale anche per chi mangia quella merda di fast food fatto con i pezzi di carne recuperati meccanicamente dalle carcasse insaporiti con cagate chimiche e impastati col pangrattato, a questo punto meglio le interiora cucinate con un’ arte secolare, dai.

“Chitlins” è un termine genericamente adottato per interiora, ma nello specifico deriva da questo stufato di intestini di maiale, anche in brodo, piatto anglosassone di origine addirittura medioevale sopravvissuto nella cucina del “soul food” della “black america”, che poi se lo chiamano soul food ci sarà un motivo; sia chiaro che noialtri non abbiamo niente da invidiare da nessuno eh, specie a Roma, grande scuola di Quinto Quarto, concorrenza possono farcela giusto i toscani. Abbiamo una storia, una tradizione fatta di osterie, budella in cucina e laparotomia all’ Ospedale della Consolazione, tra questioni d’Onore e uso del coltello, che poi parecchi bulli di Roma quando non erano “selciaroli”, quelli che piazzavano i sampietrini nelle strade, erano macellai di solito, non a caso: faccio questi paralleli giusto per citare le prime assonanze in senso antropologico che mi vengono in mente tra la nostra tradizione e quella dei neri d’America, ce ne sarebbero di innumerevoli, con buona pace dei suprematisti della domenica.

Tornando a noi, nella Black America dell’800 e ancora prima invece c’era una storia fatta di schiavitù, e già nei campi di cotone iniziava a svilupparsi una bruttissima storia parallela di non-lavoro, lì nacquero i primi magnaccia che sfruttavano le loro mogli concedendole agli altri schiavi quando non ai padroni, quei magnaccia che da lì in seguito diventeranno il Totem e l’incarnazione del Ghetto in tutte le sue sfaccettature, in alcuni casi anche voce narrante; papponi come punti di riferimento in quei bordelli della Louisiana dove nacque e si sviluppò il Jazz… Quei neri che rimasero a lavorare la terra in seguito, invece, in ambito rurale diedero vita ad altre storie sulle rive del Delta del Mississippi, armati di una chitarra cantavano la disillusione chiamata Blues. Fino al punto in cui come collante si svilupparono dei circuiti, sul modello dei circuiti ebraici come il “Borscht Belt”.

Perché alla fine un pubblico più o meno potenziale c’era e no, in verità non fu mai davvero di soli neri, ed era un pubblico che o, nel caso dei neri, non aveva nulla a che vedere col mainstream, o, nel caso dei bianchi, non si sentiva abbastanza appagato dal mainstream. Sapori forti, veraci, sfiziosi come lo zampetto di porco che è comune tanto alla cucina romana quanto al soul food…

Il circuito comprendeva tanto posti come il Cotton Club negli anni 20 e 30, dove c’ era un pubblico più bianco che nero, che quei locali del sud simili a grill-bar o a vere e proprie bettole dove il piatto forte erano proprio le interiora; ma in verità, la specialità della casa in tutti i casi era il repertorio artistico – musicale, tutta roba verace, vitalistica, in alcuni casi esplicita, tranne in rare eccezioni come Cab Calloway quel tipo di repertorio aveva poco o nullo spazio in radio. La forza esplosiva era nella performance poco ortodossa, a volte anche nei testi, il sound era sempre carico di pathos, quando non si trattava di orchestrazioni pompose era il ritmo a farla da padrone. Certo, l’ ombra plumbea della segregazione razziale si faceva vedere in qualche modo, dando un senso definitivo a tutto il contesto, una cappa pesante come quella che si respirava nella Roma Papalina presentataci in chiave un po’ troppo ammorbidita dal folclore di bravi cantanti e registi che diedero il meglio nei 70, tanto per tornare all’antropologia.

Andando oltre invece, sempre secondo la stessa prospettiva di analisi, il pubblico di quel circuito, quel “Chitlin’ Circuit” su cui negli USA esistono diversi libri a raccontarne la storia, era paragonabile a quello della “rivista” che aveva luogo a Roma nei primi del 900, quel pubblico che se non veniva appagato poteva anche tirarti addosso un gatto morto nei casi peggiori (la famigerata “gattata”, incubo di tutti i performers del varietà), del resto parliamo di un contesto che era tendenzialmente ultra – popolare. Il repertorio, negli anni, oltre a comprendere alcuni grandi “black comedians” tra cui il grandissimo Red Foxx e molto più avanti nei 70 lo strabiliante Rudy Ray Moore meglio conosciuto come “Dolemite”, passò dal Jazz, al Blues, al Boogie Woogie, all’ R&B, al Rock-n-Roll, al Soul: alcune tra le più grandi voci performarono al Chitlin Circuit e in circuiti simili se non analoghi, ma in particolare due figure della storia della musica fecero un vero e proprio “colpo di mano” in grado di cambiare letteralmente la storia… Uno fu James Brown. James Brown incarnava il Chitlin Circuit a mio avviso, veniva dall’ R&B dei 50, ma con un pathos debordante che lo rese uno degli apripista del Soul, fino all’ invenzione del Funk. James Brown ha realizzato una musica che era Soul Food e Chitlins per tutta la sua carriera, con una carica talmente marcata da non poter lasciare indifferenti nemmeno i bianchi. Quello che fece James Brown, più che rivoluzionare la musica nera, fu quello di portare la sua radice più profonda (si pensi a “the One”, quel “Uno” derivato dal Blues in battere della prima ora) talmente avanti da condizionare irrimediabilmente anche il Pop. E poi ci fu lui, Jimi Hendrix, e finalmente arriviamo al punto. Perché Hendrix da quel circuito imparò una lezione fondamentale, dalla chitarra suonata coi denti (cosa che ancora oggi erroneamente molti attribuiscono a lui, ma che invece lui apprese al circuito da performers meno fortunati) all’intrattenimento di fronte ad un pubblico dove se non sai dare l’ anima e stupire ne esci con le ossa rotte. E lui lì si limitò a fare il turnista, con grandissima umiltà, suonando R&B/Soul con gli Isley Brothers facendo comunque bella figura e carpendo la vera anima del Blues rubando con gli occhi e le orecchie. Tutto questo sound disilluso lui lo capovolse in una esplosione lisergica per una nuova generazione desiderosa di cambiare il mondo aiutato dal wah wah e dal Beat martellante di Mitch Mitchell, e qui si chiude il discorso sulla sua grandezza inarrivabile perché se avete letto tutto fino a qui altre spiegazioni non servono.


Balsano Simone, al secolo “Profeta Matto”, MC pioniere del rap di strada in Italia, riciclato come DJ, pubblicista a tempo perso, opinionista con la coccarda, Gran Maestro di vita senza cappuccio e grembiule, organizzatore di eventi insensati, guastafeste di professione. Ex membro de “Gli Inquilini”, storico gruppo rap italiano, 4 album all’ attivo dove mostra la sua abilità di cantastorie cazzaro, come qui sopra.