Non ricordo se ho conosciuto gli Autechre con Chiastic Slide oppure Confield, ma già dal primo ascolto era chiaro che lì dentro c’era già tutto quello che avevo bisogno di ascoltare: melodia, caos, futuro. Più psichedelici di quello che avevo ascoltato finora, più radicali di quel punk ormai così lontano da aver perso completamente l’aggressività viscerale.
C’è da fare una breve premessa: non sono cresciuto ascoltando musica elettronica. Ci sono arrivato a brevi passi, per vie traverse, come si era costretti a fare negli anni 90, almeno per chi come me era confinato a vivere nella profonda provincia, sperimentando con strumenti di fortuna fino ad arrivare a synth e drum machine.

Gli Autechre hanno avuto un ruolo fondamentale sul mio approccio all’elettronica, che si è da sempre basato su un livello assolutamente empirico per non dire completamente casuale ma la conoscenza delle macchine e della sintesi ha aiutato a decifrare il codice che se pur nascondendosi al buio, dietro a copertine minimali e a titoli alfanumerici l’ho sempre percepito come un linguaggio profondo e altamente comunicativo, istintivo e, a differenza di molta altra elettronica, più umano ed emotivo. Non capisco chi li ha sempre considerati glaciali, asettici, distanti o alieni, forse non li ha capiti o non li ha voluti ascoltare. C’era una vecchia loro intervista in cui parlavano della voglia che si ha di dialogare, e sta tutto li, sotto quel caos apparente si nascondono moltissimi layer che offrono a ogni ascolto una nuova chiave di lettura.
Così, per tutto questo, sono stati una componente principale anche sul mio modo di scrivere e ascoltare la musica. Nella scrittura l’elettronica necessita sempre di molta programmazione, che sia software o hardware, e la loro influenza è stata una parte fondamentale per uscire dalla rigidità dei sequencer a 16 step, a pensare in un modo che non fosse a codice binario. Mi ha aiutato ad avere un approccio più naturale e istintivo con le macchine.

Sono stati un’influenza per moltissimi naturalmente, il loro modo di pensare la musica ha contaminato la maggiorate dell’elettronica contemporanea, o almeno quella che rientra nei miei radar. Forse sono troppo coinvolto ma sembra tutto un evoluzione del loro suono. Così, giusto un esempio su moltissimi che si potrebbero fare, in questi giorni di lockdown stavo ripassando il catalogo Spectrum Spools e stavo riascoltando Second Woman, c’è moltissimo del loro modo di suonare. Andando indietro invece grazie alle loro connessioni ho potuto conoscere David Tudor oppure League of Automatic Music Composers.
Altra cosa, visto che siamo qui, e cioè la droga. La grande ondata elettronica come fenomeno di massa che ha invaso l’Italia negli anni 90 si divideva principalmente nei due opposti: cioè tra discoteche simbolo del divertimento standardizzato e l’illegalità dei rave. L’unico elemento in comune di questi due mondi era l’uso di MDMA. Non mi ha mai interessato l’uso di quelle che erano chiamate le droghe facili, non hanno mai fatto per me, e tra i due ho sempre preferito l’illegalità dei centri occupati. Ma se quel suono così ipnotico e circolare poteva colpire come novità, senza nessun incentivo chimico i rave si trasformavano, almeno per me, in una lunghissima notte per lo più noiosa. Mentre tutte le volte che ho visto gli Autechre non serviva nient’altro che essere li quel momento.

Per chiudere, il mio modo preferito di ascoltare gli Autechre è in cuffia in un contesto sociale, dentro al supermercato mentre faccio la spesa in mezzo alla gente, mentre faccio colazione al mattino in un bar, in treno, fare in modo che tutto quello che sta succedendo dentro la mia testa sia completamente dissociato dal contesto esterno. Un po quello che accade con le droghe psichedeliche tutto sommato.
Marco Giotto è Von Tesla.