Il caffè.

Ah-che-bello-cafè-sulo-a-Napule-’o-sanno-fa’!, dice il poeta e, checché ne dicano… è tutto vero. Tra le mura della città porosa, il caffè è un rituale al quale nessuno può sottrarsi. Ovunque una moka sbuffi, l’allegria esplode contagiosa. Partono balli e canti, e donne e uomini in abiti tradizionali imbracciano chitarre, mandolini e tammorre mentre l’aroma della miscela arabica si diffonde nell’aere inquieto. Guai a ingollare in fretta e furia il caffè da un volgare bicchierino in plastica durante i pochi secondi della pausa scippata al lavoro. C’è chi è costretto a nascondersi negli androni dei palazzi, nei bassi, nei corridoi di uffici, mense e ospedali, pur di sottrarsi agli occhi degli scugnizzi di vedetta, pur di concedersi un caffè frugale senza che gli piombi addosso Marisa Laurito con l’intera Orchestra italiana a sollevargli le braccia al cielo per costringerlo a un tourbillon de danse intonando Maruzzella maruzzè! In questo entusiastico clima di terrore nessuno si sognerebbe di sollevare il sopracciglio scettico per mettere in dubbio la sola certezza di cui la città dispone: il caffè. Per secoli la storia coloniale ha raccontato fandonie: Etiopia, Yemen, Persia… il pastorello errante che porta a pascolare capre golose delle foglie di uno strano arbusto a causa del quale di notte gli animali si danno a orge forsennate; oppure Maometto in persona che vede l’arcangelo Gabriele vestito di bianco con le fattezze di Renzo Arbore offrirgli ’na tazulella ’e cafè in cambio della traduzione dal greco dell’intero Corpus Aristotelicum. Tutte frottole. Il caffè è nato a Napoli, sia la bevanda di colore nero intenso e dal sapore amaro sia la pianta le cui bacche vengono poi tostate per ricavarne una polvere di colore marrone oscuro. E poi, è bene tenerlo a mente, il caffè fa bene alla salute. Una tazzina al giorno leva il medico di turno. Sin dall’antichità, il caffè è associato al mito della peristalsi. Nel medioevo, i monaci custodivano i segreti dei suoi usi officinali, tant’è che l’effige collocata all’ingresso della Scuola medica napoletana (IX secolo dC) recita: tazzulella matutitna est tam quam medicina. Ancora oggi persiste a Napoli la consuetudine del caffè sospeso, vale a dire, l’usanza di pagare un caffè in più di quello che si consuma al bar, in modo tale che chiunque, anche senza soldi possa trarre giovamento dalla bevanda. Nessuno batterà ciglio, allora, né da una parte né dall’altra del bancone, se il lettore entrerà disinvolto in un bar a Napoli, ordinerà un caffè, lo berrà, ringrazierà e volterà le spalle al cassiere senza pagare. Nessuno. Provare per credere…


Gennaro Ascione è un eretico praticante, di un ordine minore. Dedito allo studio, all’interpretazione, all’analisi, alla comprensione e alle lettere, e più ci si impegna più non ci capisce un beneamato cazzo. Editorialista, saggista e ricercatore. Autore del romanzo Vendi Napoli e poi muori. Ed è tutto vero.