Guida a Sun Ra.


Quando dico musica spaziale parlo del vuoto, perché anche quello appartiene allo spazio; ma parlo del vuoto esteriore, perché per qualche ragione l’uomo è costretto a recitare un ruolo nel rifugio o paradiso del vuoto interiore, ma non io. Quel particolare scopo/obiettivo non interessa il mio spirito/mente, che pertanto si proietta all’esterno verso qualcos’altro, dove la parola spazio è sinonimo di una multidimensione di cose diverse da ciò che oggi la gente è convinta che significhi. Così io lascio aperta la parola spazio, come lo spazio dev’essere, quando dico musica spaziale.

 Herman Poole Blount, Le’Sony Ra in arte Sun Ra

Mi auguro che i lettori di DROGA conoscano già la figura di Sun Ra, non dico in maniera approfondita, ma almeno le basi: nato come Herman “Sonny” Blount in Alabama in realtà Sun Ra veniva da Saturno e tante altre storie (tutte vere!!!) sul suo mito che è stato e sarà fondamentale per generazioni (in caso vi rimando ad un’agile introduzione alla figura di Sun Ra, e ad un articolo più ricco per approfondire la sua visione).
Meno risaputo è che oggi possiamo agilmente tuffarci nella sterminata discografia di Sun Ra (prima dispersa tra un dedalo di stampe e ristampe di ogni tipo e dubbia qualità) grazie ad un’operazione sistematica di ricerca, restaurazione e riversamento in digitale di ogni sua registrazione. Non smetterò mai di ringraziare Michael D. Anderson del Sun Ra Music Archive per aver dato forma al migliore archivio sonoro presente su bandcamp che un lettore di DROGA possa sognare:


Rimane un problema: la quantità. Ad oggi sul Bandcamp ufficiale di Sun Ra sono presenti ben 105 release e sono destinate ad aumentare!

Ecco quindi questa guida: uno dei tanti fari possibili per consentire ai non esperti una navigazione iniziale dentro una produzione densa e variegata. Nulla vi vieta di andare alla cieca ignorando tutto ciò che segue, ma il rischio di andare in confusione è alto.
Sappiate almeno che Sun Ra è stato un outsider, sperimentatore e visionario, ma musicalmente la sua origine e formazione è stata quella di pianista, compositore e arrangiatore per big band jazz. E, per quanto esistano tante registrazioni sia soliste che in piccoli ensemble, il suo approccio compositivo parte sempre con una collettività (la sua orchestra chiamata “Arkestra”) in mente con cui suonare. E’ su questa base che Sonny crea mondi sonori altri servendosi di molteplici elementi sia musicali che estetici e filosofici.

Questa guida all’ascolto non è una “selezione” piuttosto è una “riduzione” (di circa 40 dischi) ordinata secondo quattro blocchi che vanno in ordine cronologico, a loro volta suddivisi in piccoli capitoli tematici, ed una piccola appendice per live e compilation. La guida serve più come mappa di navigazione, il percorso definitivo sarete voi a sceglierlo.

Se avete voglia di big band jazz con sentori exotici e space age puntate sul blocco anni ‘50, se volete il vuoto dello spazio con pezzi sperimentali al limite tra l’astratto e l’elettroacustico puntate sugli anni ‘60, se volete la musica infuocata e totalizzante per cui è famosa l’Arkestra andate sui primi ‘70, infine per uno sviluppo più liquido e groovoso puntate sul blocco di fine ‘70 in poi.

Primo periodo ‘54/’60: CHICAGO

Big band

Sicuramente più ortodossi rispetto a ciò che seguirà, in questi dischi ci sono già composizioni originali che andranno a costituire quel catalogo di standard Sun Raiani che Sonny continuerà a riarrangiare ed eseguire sia in studio che dal vivo mutando i pezzi in maniera radicale.
In Jazz in Silhouette ci sono i primi classici dell’Arkestra come Saturn, e una delle prime tracce di exotica nell’evocativa Ancient Aethiopia. Troviamo pure quel capolavoro di Enlightenment nella sua curiosa origine strumentale (con tanto di break latino) di un tema che poi diventerà meravigliosamente cantato nelle successive versioni. Per del jazz ancora più “classico” date anche un ascolto a Jazz by Sun Ra (il suo primissimo lp).

Su Fate in a Pleasent Mood oltre alla meravigliosa title track dall’andamento svolazzante e claudicante, troviamo uno dei pezzi più suonati da Sun Ra come Lights on a Satellite che insieme a Kingdom of Thunder (e la summenzionata title track) sottolineano l’ibrido eclettico tra stili e generi che Sun Ra opera anche in questa prima fase più “ortodossa” della sua Arkestra.

Big Band vs Exotica 

Qui le cose si fanno storte! Angels and Demons è per metà big band (con session risalente al ‘56) e per l’altra metà (registrata nel ‘60) una sorta di exotica proto afro-jazz percussiva e minimale con pure la presenza di Phil Cohran e uno dei primi brani astratti come Music from the world of Tomorrow in cui Sonny usa l’organo elettrico.
Più unitario Nubians of Plutonia che con un gran dispiego di percussioni abbraccia in maniera decisa la costruzione di un sound e di un immaginario tipo “ancient exotica” dove antiche civiltà sono in contatto col futuro e con lo spazio. Aethiopia è rifacimento migliorativo di quella presente in Jazz in Silhouette. In questa versione remastered digitale vi sono anche 4 tracce bonus tra cui un’ottima versione stereo di Spontaneous Simplicity.

Space Age

Due album che raccolgono l’ultimo periodo di residenza chicagoiana dell’Arkestra. Qui Sun Ra si sposta definitivamente su territori più weird e punta allo spazio.
In Interstellar Low Ways c’è la prima versione della famigerata Rocket Number 9 già bella turbo, ma diversa da quella completamente liberata che sta in Space is the Place.
Mentre in We Travel the Spaceways oltre al classica “canzone” della title track troverete una versione di Interplanetary Music sbilenca che preferisco rispetto a quella presente già in Interstellar Low Ways.
Immagino stiate capendo che dei “classici sun raiani” non esistono versioni “definitive”, sono sempre in evoluzione, anche perché come diceva Sun Ra “non mi piacciono le cose finite, finire una cosa equivale a farla morire” (non sono le parole esatte. ma il concetto è quello) e lo spazio come sappiamo è infinito.

Secondo periodo ‘61/’68: NEW YORK

Nel ‘61 Sun Ra e l’Arkestra si trasferiscono a New York e per risparmiare sulle spese vivono insieme in una specie di comune. Così le prove sono continue e la confidenza tra musicisti rende Sun Ra libero di allontanarsi dai generi ed esplorare seriamente nuovi territori. Questi quattro album documentano la transizione tra la fase jazz ed exotica di Chicago e quella avant-garde e free che arriverà poco dopo. Il suono è molto lo-fi in quanto si tratta di registrazioni in sala prove in puro stile DIY, l’ambiente è più sparso, Sun Ra inizia ad usare spesso organi e tastiere elettrici. In più inizia ad esserci un uso esteso di riverbero ed eco a nastro (a cura del batterista Tommy Hunter che spesso faceva pure da fonico improvvisato) e la presenza fissa di percussioni di ogni tipo.
Tutti e quattro gli album risentono positivamente di rimasterizzazione e chicche bonus aggiunte trovate sui nastri (versioni estese o stereo e inediti). Su Secrets of the Sun troviamo le prime versioni di due classici: Friendly Galaxy e soprattutto Love in Outer Space una delle mie canzoni preferite e pure di Sun Ra, visto che pare ne esistano circa 150 registrazioni.

In Other Planes of There e soprattutto Cosmic Tones le composizioni iniziano a farsi astratte al punto che a volte potrebbero essere scambiate per dischi free-jazz (il periodo era quello, ‘63). Eppure tra echi, percussioni, e un approccio molto disciplinato e minimalista siamo in altri territori: quelli spaziali e del mito di Sun Ra.


Abstract I

Qui le cose si fanno VERAMENTE oltre, tanto che persino l’etichetta free jazz (che fra l’altro a Sun Ra non piaceva in quanto secondo lui “la libertà non esiste”) starebbe stretta.
Come prima cosa abbiamo uno dei capolavori riconosciuti di Sun Ra: The Magic City la cui title track è un’improvvisazione collettiva condotta da Sun Ra ed eseguita perfettamente dai membri dell’Arkestra tanto che si può pensare che sia composta su nastro. Invece no, sono 27 minuti di astrazioni irripetibili. Lo stesso discorso vale per i due Abstrac Eye/”I”, mentre Shadow World è una composizione esplosa che tornerà più volte in futuro. Su questa nuova edizione rimasterizzata è stato fatto un lavorone recuperando una fonte stereo per l’intero disco. Ovviamente l’acustica rimane strana ed aliena, com’è giusto per un uomo venuto da Saturno come Sun Ra.
A seguire sempre dello stesso periodo (circa ‘65) ci sono i due volumi degli Heliocentric Worlds realizzati per ESP DISK che replicano i “paesaggi sonori” di Magic City condividendone in parte le session, e sono altrettanto importanti nel definire questo periodo di esplorazione senza confini nel vuoto spaziale.
Strange Strings è forse il disco più radicale tra questi album: Sun Ra compra una gran quantità di strumenti a corda di ogni tipo e parte del mondo per affidarli alla sua sezione di fiati e a se stesso. Da qui conduce delle improvvisazioni che sfuggono qualsiasi genere, lui lo ha chiamato uno “studio sull’ignoranza” (forse quella spontaneous simplicity da lui cercata), dove questi strumenti, sconosciuti ai loro esecutori, vengono suonati in ogni modo (percossi, sfregati, pizzicati) e accompagnati da riverberi e suoni percussivi causati fra l’altro da un foglio di metallo o una voce che modula suoni catacombali attraverso un lungo cono di metallo. Altro che industrial.

Passiamo direttamente al ‘67/’68 con Atlantis, un album bi-fronte come spesso capita nella discografia di Sun Ra. La prima parte è fatta da 4 brani in cui Ra torna a paesaggi di antiche civiltà immaginarie impiegando l’Arkestra come tappeto di percussioni su cui suonare il Clavinet (specie di clavicembalo elettrico uscito solo l’anno prima) a volte appaiato ad un Sax. La seconda è dedicata tutta ai 21 minuti di Atlantis tra i pezzi più atmosferici ed evocativi architettati da Sun Ra che dopo una piccola introduzione percussiva fa risuonare il suo “Solar Sound Organ” come fosse un sonar per poi decollare spingendo al massimo il suo strumento in un’improvvisazione “space jazz”  sostenuta a volte da elementi percussivi e qualche fiato, verso la fine si riunisce tutta la band con una coesione ultraterrena che sarà tipica degli anni successivi. Sembra veramente di assistere al mito della distruzione di Atlantide.

Terzo periodo ‘69/’75: SPACE IS THE PLACE

Visto i costi sempre più alti di New York la “comune” di Sun Ra si trasferisce a Philadelphia che diventerà il quartier generale dell’Arkestra fino alla fine. Ciononostante Sun Ra continuerà a frequentare New York (specie per le registrazioni), ma soprattutto inizierà a portare l’Arkestra in giro per il mondo con attività live sempre più ricche e varie.

Il sintetizzatore.

Già abituato ad organi, piani elettrici ed alcune prime tastiere elettroniche, Sun Ra non poteva farsi sfuggire il futuristico mondo dei sintetizzatori. Così nel 1969 (anno dell’allunaggio) Sonny va nello studio di Gershon Kinglsey (quello di Pop Corn) per suonare sul suo prezioso Moog Modular. Per l’occasione si porta con se una versione ridotta dell’Arkestra: i tre sassofonisti Marshall Allen, John Gilmore e Danny Davis (con gli ultimi due che ogni tanto si alternano alla batteria). Il risultato è My Brother the Wind in cui Sonny sembra già il mago dei synth cosmici per cui sarà famoso nel resto della carriera: passiamo dal vento che improvvisa uno swing sghembissimo, a bizzari rintocchi metallici, a propulsioni spaziali. In quest’ottimo remaster troviamo pure il bizzarro “singolo pop” The Perfect Man (un blues “elettronico” da spy movie in acido) e gli epici 17 minuti di assolo al MiniMoog di Space Probe: una sonda spaziale persa in altre galassie, un trip da far invidia a qualsiasi noiser.
Sulla stessa linea sono i 5 bozzetti cosmici del lato b di My Brother the Wind Vol. 2: Sun Ra che cerca nuovi mondi sonori da solo di fronte al MiniMoog appena presentatogli da Robert Moog stesso. Nel lato a invece troviamo Sonny al Farfisa con Arkestra al completo che abbandona completamente le astrazioni ‘60 e punta su un groove R&B quasi alla Booker T & MGs ma sospeso sulla luna (Walking on the Moon) o qualche pianeta alieno (memorabile il canto Somebody’s Else World).
La stessa lounge lunare, bizzarra e psichedelica la ritroviamo nel più storto The Night of the Purple Moon (uno dei miei preferiti) con Sun Ra che suona contemporaneamente il Rocksichord (tastiera elettronica tipica di band psych come i Doors) e il MiniMoog, accompagnato solo da basso, batteria e un fiato. Il particolare ritmo scattoso e sospeso, che contribuisce all’unicità di questo disco, è dovuto all’impiego di Gilmore (sassofonista) alla batteria. In questo remaster troviamo anche la gradita aggiunta di una delle canzoni più belle di Sun Ra: Love in Outer Space, precedentemente presente solo in versione strumentale nel’edizione originale.

L’Arkestra liberata

Nei tre dischi precedenti Sun Ra ha sperimentato con tastiere e synth ed ha pure cercato qualcosa di più accessibile (per i suoi standard anni ‘60): groove più decisi, melodie cantabili e formazioni ridotte. Ora Sun Ra può riprendere in mano l’Arkestra e inserirci tutta l’esperienza accumulata fin’ora in una sola soluzione: improvvisazioni collettive oltre il muro del suono, canti, ritmi e melodie, elettronica etc. Ormai nei live l’Arkestra poteva passare da un arrangiamento di un classico swing all’esplosione di una supernova come se nulla fosse, con comunicazione tra conduttore e band quasi telepatica. Tutto ciò è sintetizzato nel loro album più famoso: Space is the Place. Un must. Quindi preferisco spendere due parole per gli altri LP dello stesso periodo.

Discipline 27-II proviene proprio dalle stesse session di Space (1972) ed è tra i migliori recuperi di questi remaster, la title track sono 24 ipnotici minuti in cui, su un lento swing tipo nenia galattica, l’intera Arkestra deride la nostra vita sul pianeta terra e ci invita ad aprirsi verso la vita vera (quella “spaziale” di Sun Ra). Fondamentale.
Altrettanto fondamentale è Astro Black primo album per la famigerata Impulse!, anch’esso mai restaurato e ristampato. L’inquieta e oscura title-track in apertura, su cui June Tyson declama un poema di Sun Ra, è quasi la dark side voodoo di Space is the Place. Aggiungeteci la circolare Discipline 99, la cavalcata afro/free di Hidden Spheres e le improvvisazioni guidate di Cosmo Fires e avrete uno dei migliori album di Sun Ra.
Pathways è più estremo, veri percorsi verso mondi sconosciuti, e l’ottimo remaster è accompagnato da tre bonus track altrettanto valide provenienti dalle stesse session. Purtroppo fu il secondo e ultimo LP per la Impulse!, l’etichetta rescisse il contratto con Sun Ra per scarse vendite. A farne le spese furono vari album che non videro più luce fino al recupero completo di oggi: Cymbals/Symbols che ricorda quasi i bozzetti degli Heliocentric Worlds e il particolarissimo Crystal Spears che inizia con un attacco di organo lancinante per poi svilupparsi in 4 lunghe tracce dalla narrazione sonora mistica e misteriosa.

Space is the Place non è stato solo un album, ma anche una serie di concerti e soprattutto l’unico lungometraggio di e su Sun Ra: per l’occasione l’Arkestra registrò dei brani e improvvisazioni come colonna sonora del film. Nel film è stato usato solo 10% del materiale che è stato raccolto in questo disco meno “pop” ed ordinato dell’LP su Impulse!, ma più variegato e libero. Dentro c’è una bellissima versione di Satellites are Spinning cantata da June Tyson.

Quarto Periodo ‘76/: PHILADELPHIA

Europe Endless

Deluso dal rapporto fallimentare con la Impulse! Sun Ra torna all’autoproduzione spinta, aumenta i tour specialmente in Europa, ed appena possibile registra dove capita.Questi due album nascono così.
Cosmos è registrato in Francia (mentre erano in residenza di due mesi a Parigi) nel ‘76 con Sun Ra che conduce 12 elementi dell’Arkestra dietro il solo Rocksichord e ricorda in parte le atmosfere lunari di Night of the Purple Moon, ma meno bizzarro e più dilatato e romantico, specie negli ultimi magici pezzi in cui Sonny scioglie la sua tastiera dentro un effetto phaser. New Steps invece viene registrato a Roma nel gennaio del ‘78 (insieme al suo album gemello) con formazione ridotta ad inusuale (per lui) quartetto jazz: l’atmosfera è intima e raccolta, invernale. Il risultato è uno degli album più poetici di Sun Ra contenente almeno un capolavoro come When there is no Sun


Cosmo Groove

Ora nelle registrazioni (al contrario dei live sempre infuocati) inizia a farsi strada un mood più dilatato e groovoso, e contemporaneamente iniziano anche recuperi verso un jazz più classico.
Il rappresentante migliore di questa fase tardi ‘70 è Lanquidity, senza ombra di dubbio uno dei suoi capolavori e sicuramente tra gli album meno ostici. La registrazione è più curata del solito, ci sono persino delle sovraincisioni (rarità per Sun Ra), e trattamenti spaziali in sede di mix. Questo permette di essere avvolti dal groove deciso di basso e batteria che guida ogni brano. Eppure il mood rimane sognante e “languido”, i brani prendono o perdono forma quando meno te l’aspetti, sono appunto liquidi. L’altrettanto famoso Sleeping Beauty continua sullo stesso mood sognante sottraendo groove ed aggiungendo qualcosa di “spiritual jazz” in tre lunghi brani.
Il meno conosciuto Strange Celestial Road proviene dalle stesse session del ‘79 di Sleeping Beauty, ma unisce due pezzi space jazz blueseggianti con gli incredibili 16 minuti di I’ll wait for you, una roba tipo blaxploitation piena di wah wah e basso slappato, ma gettata nel cosmo di Sun Ra.
Similmente On Jupiter recupera un po’ di swing tipico dell’Arkestra per poi tuffarsi nel groove iper-espanso di UFO, un vero e proprio pezzo disco a gravità zero. Incredibile.


Ah, il Jazz!

Nonostante avesse già registrato dei dischi per solo piano, l’attività solistica di Sonny riprende veramente solo intorno al ‘77 grazie a Paul Bley che lo invita a registrarne una serie per la sua etichetta. Solo Piano Vol. 1 e 2 sono gli ottimi risultati.
Ancora meglio è il solo piano al Fender Rhodes del 1980 in cui Sun Ra si siede davanti alla famosa tastiera elettrica: uno squarcio intimo e riflessivo nella musica di Sonny.
Sulla stessa vena jazz sono i due dischi del 1979, il primo God is More… è una registrazione in trio classico: basso, piano e batteria. Un disco unico nella carriera di Sun Ra, molto rilassato, sciolto e poetico. Omniverse è sulla stessa scia, ma varia tra trio, quartetto e quintetto.

Appendice Live e Compilations

Wake Up Angels raccoglie i concerti tenuti all’Ann Arbor Jazz & Blues Festival, la qualità della registrazione non è eccelsa, ma l’esecuzione è fenomenale e il risultato è potentissimo ed esilarante. Rappresenta perfettamente la musica totale che faceva l’Arkestra tra 72 e 74.

Il seguente live di Parigi 71 è una registrazione molto spaziosa e ben suonante, con scaletta notevole piena di canti e melodie circolari, assalti percussivi e un lancinante assolo finale di synth. Contiene una versione spettacolare di Somebody Else’s Idea da ascoltare assolutamente.

Planets of Life or Death è altro live del periodo più espanso e gioioso dell’Arkestra. Viaggio perfetto dall’Enlightment in apertura (forse la mia versione preferita) alla chiusura con l’assalto sonoro e la declamazione di What Planet is This.

Disco 3000 è una delle robe più scioglicervello che si possano ascoltare. Live del ‘78 a Milano in formazione ridotta a sax, tromba e batteria in cui Sun Ra improvvisa spippolando drum machine e arpeggiatore del suo organo crumar. Una delle sue cose più ossessive.

Voice of the Eternal Tomorrow è un live violentissimo del 1980, la qualità è bassa, ma ciò contribuisce a rendere questa rara registrazione uno dei miei dischi noise preferiti. Nel terzo brano The Rose Hue Mansions of the Sun c’è uno dei migliori assalti free: dopo un assolo di synth tipo monofischio micidiale torna l’Arkestra a stecca e parte il caos solare.

Questo che segue non è un vero live, ma è una trasmissione radiofonica di Philadelphia che alterna live dell’Arkestra a spezzoni di intervista a Sun Ra, una chicca per chi è già conoscitore del mondo di Sunny. L’ho messa qui anche per farvi capire la ricchezza del catalogo bandcamp.

The Space Age Is Here To Stay raccoglie le “canzoni” di Sun Ra molte delle quali già nei vari album presenti in lista, ma la scelta dei brani e l’ordine della scaletta rendono l’ascolto eccelso anche per chi conosce già tutto. Ottima compilation sia come introduzione ai “canti” dell’arkestra che per avere la bellezza di questi canzoni in un solo disco.

Stesso discorso per vale per la seguente compilation June Tyson: Saturnian Queen of the Sun Ra Arkestra che invece raccoglie i pezzi cantati o recitati dalla voce della “front woman” della Sun Ra Arkestra: June Tyson.

I due Solar Myth Approach sono compilation di inediti uscite negli anni ’70 e ricavate da nastri che Sun Ra diede alla BYG/Actuel. Fin’ora esistevano solo versioni di dubbia qualità a livello bootleg (pure quelle della Charly). Per questi remaster invece è stato fatto un gran lavoro di recupero, ben dettagliato nelle liner notes. Sebbene contengano materiale sparso che attraversa tutti gli anni ’60 fino alla prima registrazione di moog, questi due volumi hanno un loro percorso coerente, sono godibilissimi e contengono diverse chicche.

Ho voluto aggiungere questa raccolta di cover di Gershwin eseguite negli anni dal ‘59 agli ‘80 per avere uno sguardo sul tipo di arrangiamenti su classici che operava Sun Ra specie verso fine carriera.

In questa Space Age Rhythm & Bop sono raccolti brani e canzoni scritti per altri da Sun Ra negli anni ‘50: doo woop lunare per sbarcare il lunario! Un lato particolare della carriera di Sun Ra che si può approfondire con la compilation fisica della Strut: Singles: the definitives 45s collection.

Somebody else’s idea of somebody else’s world
Is not my idea of things as they are
Somebody else’s idea of things to come
Need not be the only way
To vision the future

What seems to be, need not be
What need, had to be
For what was is only because of
An adopted source of things
Some chosen source as was
Need not be the only pattern
To build a world on

Marco Caizzi è nato e vive a Roma. Ha scritto su Prismo ed è appassionato di videogiochi e musiche da altre dimensioni. Suona nei Rainbow Island.